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Январь
2024

Coldiretti contro l’Europa: «Nel Nord Est diciamo no a cibo sintetico e farine di insetti»

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Carlo Salvan, presidente veneto di Coldiretti, perché gli agricoltori di mezza Europa stanno bloccando strade, piazze e caselli con i loro trattori?

«Intanto, bisogna fare un distinguo. Tedeschi e francesi stanno protestando contro l’eliminazione delle agevolazioni fiscali sul gasolio agricolo e contro il ripristino di tassazioni dalle quali il mondo agricolo era esente. Questo non avviene in Italia, dove il settore gode di condizioni migliori».

E, allora, perché gli agricoltori del Nord Est stanno manifestando?

«Contestano la politica agricola comunitaria, con un ambientalismo che si scontra con le esigenze del mondo rurale. Contestano l’utilizzo della farina di insetti – e già abbiamo avuto una prima vittoria, con l’introduzione dell’obbligo di tracciabilità dei prodotti – e il ricorso al cibo sintetico».

E lei, da presidente di Coldiretti, cosa pensa quando vede gli agricoltori bloccare le strade con i trattori?

«Penso che sia sbagliato protestare contro il governo italiano, che si sta dimostrando molto sensibile alle nostre istanze. Le manifestazioni vanno fatte davanti alle sedi Ue, dove si dettano le leggi e si decidono le assegnazioni finanziarie per l’agricoltura».

Anche bloccando le strade? La protesta degli agricoltori sta facendo proseliti nel movimento dei forconi...

«Sono iniziative che si prestano a strumentalizzazioni. Le soluzioni si trovano rapportandosi con le istituzioni in modo serio e responsabile. Così si ottengono risultati solidi, e non con qualche settimana di iniziative. È giusto manifestare il dissenso, ma, soprattutto, avanzare proposte».

Quali sono le vostre?

«Chiediamo attenzione per il settore. E i primi risultati già si vedono: un fondo per l’agricoltura che, grazie al Pnrr, è cresciuto dai 3,5 agli oltre 8,5 miliardi di euro. Risorse che saranno utilizzare per le filiere, ma anche per l’infrastrutturazione del Paese».

In che modo questa incide sull’agricoltura?

«In Italia, la capacità produttiva è alta. Ma, parlando di export, siamo penalizzati da una rete infrastrutturale – autostradale, ferroviaria e portuale – deficitaria. E questo ci rende meno competitivi rispetto ad altri Paesi».

Quali sono le produzioni in maggiore difficoltà?

«Cereali e frutticoltura: per l’invasione di insetti come la cimice asiatica, o per fitopatie vecchie e nuove, come quella che causa la moria dei kiwi. Fenomeni che hanno provocato una drastica diminuzione delle superfici agricole».

E quelle con più margini di crescita?

«Proprio un cereale: il grano duro. A lungo si è ritenuto che il migliore fosse quello del Canada, dove però viene utilizzato un disseccante sulla cui sicurezza la scienza non si è ancora espressa. Noi, invece, utilizziamo il sole: un disseccante naturale».

Gli agricoltori italiani sono discriminati rispetto ai colleghi degli altri Paesi?

«Gli agricoltori italiani devono sottostare a regole più severe, e questo è un problema. Tornando all’ortofrutta, in Italia viene importata anche se lavorata con molecole e principi fitosanitari che qui sono vietati da anni. Questa si chiama concorrenza sleale».

Parliamo dei fattori di crisi del settore. Prima menzionava le politiche ambientali dell’Ue, che si sconrtrano con le esigenze dell’agricoltura. Ma l’ecologismo è la grande priorità del pianeta, oggi.

«Noi contestiamo la Pac, la politica agricola comunitaria, perché nasce come compromesso politico tra i Paesi membri, ma non tiene conto delle specificità delle singole agricolture, livellando ogni situazione. Non solo, impone condizioni che stridono con i concetti di produzione e servizio alimentare, ad esempio l’obbligo di lasciare il 4% dei terreni incolti. Non ha senso, considerando che nel pianeta ogni anno milioni di persone muoiono di fame».

Contestava anche il ricorso ai cibi sintetici. La carne coltivata, però, risponde a esigenze ambientali, trattandosi di un’industria tra le più impattanti...

«Non chiediamo che la ricerca si fermi, anzi; ma chiediamo una disciplina nazionale che vieti la produzione, la commercializzazione e la distribuzione di questo tipo di alimento. Cosa potrebbe accadere, se il settore fosse gestito soltanto da multinazionali? Potrebbero derivarne profonde storture economiche, capaci di scollegare il mondo dell’agricoltura dai consumatori. E non dimentichiamo l’importanza della nostra dieta mediterranea: alimentazione e medicina sono fondamentali per la salute. Dobbiamo riprendere una tradizione alimentare basata su territorialità, stagionalità e professionalità dei produttori».