Welfare, il rapporto: “La spesa per le sole pensioni è all’12% del pil, sostenibile. Quella assistenziale in salita del 126% in 10 anni”
I pensionati tornano a crescere lievemente nel 2022 a quota 16,13 milioni. Gli occupati aumentano più rapidamente sfiorando i 23,3 milioni (oltre 400mila in più in un anno) facendo salire il rapporto tra le due grandezze a 1,44. Il dato è contenuto nel Rapporto Itinerari previdenziali sul welfare, che sottolinea come il sistema previdenziale sia sostenibile purché si ponga “un limite alle troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero e all’eccessiva commistione tra previdenza e assistenza cui si è assistito negli ultimi anni”. Al netto degli oneri assistenziali e delle integrazioni al minimo, la spesa per pensioni viene quantificata sotto il 12%, contro l’oltre 16% stimato da Eurostat. “La corretta determinazione di questi dati è fondamentale per evitare che eccessive sovrastime convincano l’Europa a imporre tagli alle pensioni che, come evidenziano questi numeri, presentano invece una spesa tutto sommato sotto controllo”, commenta Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.
Secondo il Rapporto nel 2022 la spesa per assistenza ha raggiunto quota 157 miliardi con una crescita del 126% in 10 anni. Per il welfare nel complesso – previdenza, assistenza e sanità – in Italia si sono spesi 559,5 miliardi (+6,2% sul 2021), dedicando a questi settori oltre la metà (il 51,65%) della spesa pubblica totale. Ma se la spesa per il welfare nel complesso in dieci anni è aumentata del 29,3%, quella previdenziale ha segnato un +17% (meno della crescita del Pil) e quella assistenziale a carico della fiscalità generale un +126%, raggiungendo i 157 miliardi.
Su 16,13 milioni di pensionati nel 2022 oltre 6,55 milioni (il 40,61%) sono totalmente (3,75) o parzialmente (3,88) assistiti. Per pagare sanità, assistenza e welfare degli enti locali, spiega dunque il rapporto, non basta l’insieme delle imposte dirette ma bisogna ricorrere a 40 miliardi di quelle indirette. Di conseguenza, per sostenere il resto della spesa pubblica “non rimangono che le residue imposte indirette, le altre entrate e soprattutto la strada del debito, ponendo peraltro anche un tema di equità e sostenibilità del sistema”.
Dopo il crollo dovuto al Covid e alle misure di lockdown, sottolinea il Rapporto, le entrate contributive sono tornate a crescere dell’8% rispetto al 2021 toccando quota 224,94 miliardi di euro, valore ampiamente superiore a quello pre-pandemico. “Nel complesso, la spesa pensionistica di natura previdenziale comprensiva delle prestazioni Ivs (invalidità, vecchiaia e superstiti)”, spiega il Rapporto separando i pesi di previdenza e assistenza, “è stata nel 2022 pari a 247,588 miliardi, per un’incidenza sul Pil del 12,97%, in riduzione rispetto al 13,42% dello scorso anno. Al netto degli oneri assistenziali per maggiorazioni sociali, integrazioni al minimo e Gias (Gestione degli interventi assistenziali) dei dipendenti pubblici, l’incidenza scende al 11,72%, dato più che in linea con la media Eurostat. La percentuale cala addirittura all’8,64% escludendo anche i circa 59 miliardi di imposte (Irpef) che in molti Paesi dell’Unione o di area Ocse sono molto più basse, quando non del tutto assenti, sulle pensioni”.
Il rapporto tra occupati e pensionati è in miglioramento ma ancora distante dai valori pre-pandemici (1,4578). “La soglia della semi-sicurezza dell’1,5 è ancora lontana – si legge nello studio – ma, nel complesso, il sistema regge e continuerà a farlo, a patto di saper compiere – in un Paese che invecchia – scelte oculate su politiche attive per il lavoro, anticipi ed età di pensionamento”.
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