Niente soldi al fondo contro i disturbi alimentari: la mia lettera aperta alla premier
Spettabile Presidente del Consiglio,
Stridente è il rumore dello strappo tra le sue affermazioni fatte in campagna elettorale a favore della famiglia e il recente intento di non assegnare i 25 milioni di euro destinati al Fondo per la prevenzione dei disturbi alimentari. Famiglie, giovani, futuro: quanto abbiamo sentito risuonare queste parole prima delle elezioni. Quanto le giovani generazioni sono in cima ai pensieri di tanti candidati. Poi, di colpo, quando i cordoni della borsa si stringono, le priorità paiono mutare.
Vorrei che ci ripensasse.
Da clinico che collabora con colleghi in varie parti di Italia, ospedali, centri, strutture, associazioni, le dico che oggi più che mai c’è l’urgenza di sostenere chi si ammala di Dca e i loro nuclei familiari, costretti a fronteggiare una patologia in crescita esponenziale e con esisti spesso letali. Giovani che vedono il loro futuro, la loro vita stessa, minati dall’aumento drammatico di quel gruppo di malattie racchiuse nella categoria ‘disturbi del comportamento alimentare’: anoressia, bulimia, vigoressia, ortoressia.
Mi creda, se c’è un luogo nel quale le differenze tra destra e sinistra sono spazzate via è quello definito dall’evidenza trasversale dell’avanzata dei dca, un vero e proprio flagello dell’ultimo ventennio che colpisce una generazione pregiudicandone la vita e lo sviluppo.
Troverà in giro per la rete mille testimonianze, dati, cifre, statistiche, tese a farle cambiare idea. Dietro alla freddezza dei numeri, si annidano tuttavia piccole storie di ordinaria difficoltà. Chi sono i protagonisti? La ragazza il cui bmi (indice di massa corporea) è al limite della sopravvivenza, dietro alla quale si affollano tantissime altre giovani donne in condizioni anche più gravi a ‘contendersi’ i pochi posti letto disponibili. I medici, solo da poco formati a tali patologie, che combattono battaglie impari con le telefonate che intasano i loro studi, accogliendo le richieste di famiglie implose quando scoprono la malattia del figlio perché i segnali sono stati non riconosciuti, e dunque sottovalutati. Il ragazzo che collassa a scuola, che sviene. La ragazza che ha perso il ciclo mestruale, che vede i denti corrosi. Quello che non esce dalla palestra, quello che si rintana in camera davanti allo schermo a seguire mirabolanti diete proposte dalla rete. Una generazione che lancia mute richieste di aiuto, sovente non capite in tempo dai genitori, dagli insegnanti, non perché privi di buona volontà, ma perché non sufficientemente attrezzati a riconoscerli.
E per questo servono soldi. Soldi per le strutture. Soldi per andare nelle scuole, soldi per le associazioni le quali in modo silente occupano quel vuoto formativo e comunicativo che inghiotte il futuro di tanti giovani. Serve un aumento dei posti letto, un incremento delle strutture in Regioni che ne sono sguarnite. Serve formazione: seria, rigorosa, fatta con la clinica, che combini l’opera del medico, dello psicologo, del nutrizionista, della dietista, dello psichiatra. Una formazione rigorosa, lontana dai riflettori, necessaria.
Quei soldi servono lì. Servono adesso.
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