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Pregliasco sbaglia sui finanziamenti da Big Pharma: la trasparenza non elimina il conflitto d’interessi

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In sede di audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sulla pandemia, il dottor Fabrizio Pregliasco – uno dei volti più noti della classe medica durante il periodo delle ondate di contagio e delle successive campagne vaccinali – ha dichiarato di aver avuto, negli ultimi quattro anni, rapporti diretti di finanziamento con: Gsk, Sequirus, Bayer, Janssen, Sanofi, Baush&Lomb, Lilly, Pfizer, Moderna, Novavax, Procter&Gamble. Praticamente: il gotha di Big Pharma e, soprattutto, di quella specifica “branca” di Big Pharma dedita alla produzione e commercializzazione di vaccini (anche) anti-Covid.

Premetto subito: Pregliasco ha perfettamente ragione sul piano giuridico quando dichiara di essere stato lui stesso a rendere pubblici questi rapporti con le aziende del settore in ossequio al Regolamento Applicativo dell’accordo Stato-Regione del 5 novembre 2009. Quella norma esiste e lui l’ha rispettata. Ma ha, altresì, perfettamente torto, sul piano del più elementare buonsenso, quando aggiunge, in un’intervista ad Affaritaliani: “Non c’è alcun conflitto di interesse, che ci sarebbe semmai se questi contatti non fossero trasparenti. Un conto è dirli apertamente e serenamente, come ho fatto, e un conto è tenerli nascosti”. In realtà, il conflitto esiste a prescindere dalla sua “trasparenza” e il fatto che una legge (sbagliata) lo consenta non lo elimina affatto.

Così pure sbaglia quando afferma: “In sostanza, non mi hanno certo pagato per parlare del Covid e dei vaccini in televisione o altrove”. In effetti, se così fosse accaduto, egli sarebbe stato addirittura un testimonial pubblicitario delle aziende, ma non serve arrivare a tanto per entrare in zona di conflitto di interessi. Basta che un medico abbia ottenuto ritorni economici (sia pur legittimi e a qualunque titolo) da chi produce rimedi che il medesimo dottore consiglia. Ma c’è di più: lo stesso sanitario ha affermato che “nel contesto della ricerca scientifica e dell’attività medica è uno standard normale avere rapporti con aziende”. Neanche questo, però, è un valido motivo per giustificare una prassi errata.

Sia come sia, l’aspetto sorprendente delle dichiarazioni di Pregliasco sta tutto nelle scarse reazioni che ha suscitato. O, per dir meglio, nel fatto che le reazioni indignate sono arrivate solo da destra; oppure da chi maggiormente si era battuto contro i rischi di una somministrazione indiscriminata dei vaccini e ancora si batte per la verità sulle conseguenze negative dei medesimi. Da sinistra, invece, imbarazzati silenzi. Strano: come si fa a non capire che un medico (il quale deve apparire, non solo “essere”, super partes e spinto solo dalla mission ippocratica del “primum non nocere”) dovrebbe sempre mantenersi al di sopra di ogni sospetto di parzialità?

Non serve neppure aver studiato il grande psicologo Robert Cialdini per conoscere gli effetti prodigiosi della cosiddetta regola inconscia enucleata (dal suddetto) come “principio di reciprocità” (in virtù della quale chiunque sia stato beneficiato da qualcuno tende ineluttabilmente a ricambiare il favore). È sufficiente aver vissuto in pieno un’altra epopea, oltre a quella pandemica: vale a dire l’età berlusconiana, dai primi anni Novanta fino alla seconda decade di questo millennio, quantomeno. Un periodo durante il quale nessuno, soprattutto a sinistra, aveva dubbi sull’importanza decisiva del tema del conflitto di interessi. E allora perché oggi, specialmente a sinistra, ciò che fino a ieri non era neppure un comandamento politico, ma addirittura un imperativo etico, si è trasformato in qualcosa di così poco “avvertito”?

E a chi dovesse rispondere che i vari medici (assurti a più o meno meritata fama durante il Covid-19) non erano “amministratori pubblici” come Berlusconi, obietto facilmente: essi avevano, se del caso, un ruolo, un’esposizione, una responsabilità, sul piano pubblico, persino maggiore (con riferimento alla stretta contingenza del periodo epidemico) di quella di un Presidente del Consiglio. Perché godevano di una esposizione mediatica micidiale e perché i cittadini pendevano dalle loro labbra per sapere cosa pensare e soprattutto cosa fare riguardo alla pandemia (vaccini compresi).

L’auspicio è che le dichiarazioni di Pregliasco rappresentino un campanello d’allarme per tutti gli esponenti delle forze politiche che, in passato, hanno fatto del conflitto di interessi una questione non negoziabile. Possano essi ritrovare, a tal proposito, il piglio, il brio e la intransigenza di un tempo. Se poi desiderano cogliere ancor meglio la gravità della situazione, si rileggano la surreale chiosa di Pregliasco: “Sono più indipendente proprio perché prendo soldi da tanti”. Come dire che – dell’endorsement (gaudente e “indipendente”) della “scienza” a favore dell’industria medica – hanno beneficiato tutti i colossi del farmaco, mica uno soltanto.

www.francescocarraro.com

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