ru24.pro
World News
Октябрь
2025
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31

Febbre, quando curarla fa troppo male

0

Inizia l’autunno e arrivano i malanni di stagione: raffreddore, febbre, tosse, mal di gola. È quasi un rito domestico: appena il termometro segna 37,5 gradi le nostre case si trasformano in piccole farmacie improvvisate. Tra anti infiammatori, sciroppi, gocce, compresse prese «a occhio», e magari quell’antibiotico avanzato dall’ultima volta, alla fine è facile esagerare, mischiare farmaci o sbagliare dose e indicazioni. E i pericoli possono essere ben peggiori di quanto immaginiamo, soprattutto perché si parla di medicinali da banco che non richiedono prescrizione, e che quindi consideriamo sicuri: ma più aumenta la percezione di sicurezza, più alto è il rischio di danni e di abuso.

A portare la questione al centro del dibattito internazionale è stato, in maniera tanto sorprendente quanto controversa, addirittura Donald Trump, con le sue dichiarazioni sul paracetamolo (o acetaminofene, come è chiamato in America, venduto col nome commerciale di Tylenol) e i rischi di autismo. Al di là delle polemiche innescate dal presidente Usa – la correlazione non è mai stata scientificamente provata e il paracetamolo rimane il rimedio di prima scelta in caso di febbre, anche per bambini e donne incinte – resta il punto: quanto conosciamo davvero i farmaci che usiamo senza pensarci troppo? 

Poco o niente: «Per quanto riguarda il paracetamolo, i rischi sono collegati al fatto che il dosaggio tossico è paradossalmente vicino a quello terapeutico» dice a Panorama Antonio Clavenna, farmacologo clinico dell’Irccs Istituto Mario Negri di Milano. «Mi spiego meglio: per un adulto la dose da non superare è 4 milligrammi al giorno, quindi al massimo una compressa ogni 6 ore. Oltre questa soglia aumenta immediatamente il rischio di tossicità epatica, dovuta a un accumulo del farmaco che il fegato non riesce più a smaltire». 

I primi sintomi sono blandi e possono essere scambiati per un malessere di altro genere: nausea, dolore addominale o vomito. E chi sospetterebbe mai che l’innocua tachipirina che magari prendiamo da decenni possa farci del male? Ma in breve tempo, e con poche compresse in più (basta arrivare a 7 o 10 milligrammi) si può incorrere in problemi gravi. «Quando compare l’ittero, cioè l’ingiallimento della pelle e delle sclere dell’occhio, è il segno che la sofferenza epatica è già importante» continua il farmacologo. «Questa vicinanza tra dosaggio terapeutico e dose tossica è anche alla base di un fenomeno inquietante, poco noto al grande pubblico: gli atti autolesionistici compiuti proprio con il paracetamolo. Purtroppo, essendo un farmaco facilmente reperibile, viene utilizzato anche per questi scopi». 

Difficile da immaginare, ma un’intossicazione di (apparentemente innocua) tachipirina da banco può rivelarsi letale, alla pari di quelle causate dai tranquillanti e altri medicinali più complicati da reperire. L’abuso di paracetamolo, inoltre, ha un ulteriore aspetto che lo rende particolarmente insidioso: non sempre gli esami del sangue sono in grado di rivelarlo subito. Può accadere infatti che la paracetamolemia, cioè il dosaggio della quantità di farmaco circolante, risulti nei limiti, perché il principio attivo viene metabolizzato rapidamente e scompare dal sangue: il problema è che l’effetto tossico persiste e continua a colpire il fegato, spesso senza che né il paziente né i sanitari se ne rendano conto in tempo. 

Questo inganno biochimico, una sorta di trappola diagnostica, ha portato in più di un caso a sottovalutazioni e dimissioni premature dall’ospedale, con conseguenze drammatiche. «L’overdose può provocare una cascata di complicazioni, dalla compromissione della coagulazione fino a disturbi sistemici persistenti, che possono anche essere irreversibili» conclude Clavenna. «È il segno tangibile di quanto questo farmaco, percepito come quotidiano e innocuo, possa trasformarsi in un nemico subdolo».  

Non va meglio con altri prodotti che tutti abbiamo in casa, e cioè i Fans, gli antinfiammatori non steroidei come ibuprofene e aspirina. Anch’essi spesso assunti senza reali indicazioni, in dosi elevate o addirittura preventivamente, cioè per evitare che il dolore alle ossa peggiori o la febbre si alzi troppo. Il loro meccanismo di azione, però, espone la mucosa dello stomaco all’acido gastrico, con il rischio di irritazione, gastrite e, nei casi peggiori, ulcera. Ma il problema non si limita allo stomaco. «Gli antinfiammatori, pur essendo efficaci nel ridurre la febbre, non hanno un vero significato terapeutico in questo ambito» afferma Alberto Benetti, direttore del reparto di Medicina interna – Alta complessità dell’Ospedale Niguarda di Milano. «In altre parole, non c’è nessuno studio in letteratura che dimostri che i Fans riducano la durata dell’influenza: il loro effetto è puramente sintomatico. Da questo punto di vista, quindi, avrebbe più senso ricorrere al paracetamolo. Il problema maggiore riguarda i rischi legati non solo al fegato, ma soprattutto ai reni. Nei pazienti con insufficienza renale possono peggiorare gravemente la situazione, e negli anziani che già li usano tanto per l’artrosi, sono dannosi, perché con gli anni la funzione renale declina già fisiologicamente».

 Inoltre, anche in questo caso, la grande efficacia degli antinfiammatori non steroidei porta a una certa leggerezza nell’uso: perché proprio come nel caso del paracetamolo, la forza di questi farmaci è l’accessibilità, il loro limite è la sottovalutazione. E spesso gli effetti avversi si manifestano quando è tardi per porvi rimedio.

C’è poi un problema di tipo normativo, che ingenera confusione e non aiuta gli utenti a capire i possibili effetti collaterali. «Molecole utilissime come – appunto – ibuprofene e paracetamolo, ma anche il diclofenac (il celebre Voltaren contro il dolore, ndr) possono essere vendute a determinati dosaggi senza obbligo di prescrizione, mentre è richiesta la ricetta per le dosi superiori» sottolinea Diego Pavesio, medico di Medicina generale a Moncalieri. «Un caso eclatante è proprio quello del paracetamolo, la classica tachipirina che è “da banco” da 500 mg, mentre serve la prescrizione per 1.000 mg. Sfugge, e non può essere altrimenti, il comprendere cosa impedisca al paziente di assumere due compresse, o anche più, di farmaco, una volta acquistato. Tutto questo aumenta dubbi e incertezze». 

Come gestire i malanni di stagione, insomma, come e quando abbassare la febbre, per quanto tempo sopportarla, rimane un enigma difficile da decifrare. E forse va anche cambiato l’approccio. «Il rialzo febbrile è un meccanismo di difesa dell’organismo» continua Benetti. «Non ha senso abbassarla appena il termometro segna 37,3, ma tutto va sempre rapportato alla fragilità del paziente. Un bambino può arrivare a 38,5 gradi senza problemi, mentre in un novantenne la stessa temperatura può causare confusione, disidratazione, perdita di liquidi: qui il rischio è diverso e può essere alto». 

Piuttosto, è importante non trascurare le cosiddette febbricole, cioè quelle temperature tra 37 e 38 gradi che persistono per giorni. Perché se ci buttiamo sul paracetamolo per tanti giorni con l’unico scopo di “spegnere” quelle fastidiose cinque linee in più, rischiamo di farci male. «La febbre, purtroppo, non indica solo infezioni batteriche o virali» conclude Benetti. «Può essere la spia di importanti patologie: malattie autoimmuni, artrite reumatoide in fase attiva, perfino tumori. Abbassarla senza un criterio e mascherare un sintomo importante ci espone al pericolo di coprire un segnale prezioso. Piuttosto, la febbre va interpretata, non spenta a priori. Ogni terapia dovrebbe sempre basarsi almeno su una diagnosi presunta: se so che ho l’influenza, ha senso l’antipiretico; ma se la febbre dura più giorni, non basta e bisogna chiedersi perché persiste».

Del resto c’è un vecchio detto (sempre valido): «Il raffreddore curato passa in sette giorni, non curato in una settimana». Spegnere i sintomi a colpi di compresse impedisce di sapere cosa sta succedendo davvero dentro di noi. E quando il corpo ci parla, e tenta di dirci qualcosa, ignorarlo è il modo più controproducente di rispondere.