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Wimbledon, Sinner: “Wimbledon è il torneo che sognavo. Cahill resta? Dipende da me…”

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C’era una volta un ragazzino delle Dolomiti che sognava di giocare a Wimbledon. L’erba, il bianco, l’eleganza, la storia. Il torneo più antico, quello che tutti vogliono, ma pochi riescono ad accarezzare. Poi, ad un certo punto ti accorgi che anche il sogno più remoto, quello apparentemente più impossibile può diventare realtà: Jannik Sinner ha vinto Wimbledon. Primo italiano in 138 edizioni del torneo emblema del tennis mondiale e non solo. E al termine del 4-6 6-4 6-4 6-4 con il quale ha battuto Carlos Alcaraz, il rivale di oggi e che sarà di una vita sportiva esordisce in conferenza stampa con la soddisfazione di chi sa di averla fatta grossa. “Wimbledon è sempre stato il torneo che sognavo di giocare e di cui volevo far parte. E ora sono qui, con il trofeo, anche se non è fisicamente in questa stanza… è una sensazione incredibile”. Basta l’espressione che ha in volto per capire che questa non è una vittoria qualsiasi. È il coronamento di un percorso cominciato anni fa, di una crescita meticolosa e ostinata. Ricorda persino quel primo match a Roehampton, contro Alex Bolt: “Finì tipo 12-10 al terzo… ero un ragazzino e l’erba non sapevo nemmeno come si giocava. Se mi avessero detto che un giorno avrei vinto Wimbledon? Avrei risposto: nessuna possibilità”.

“Siamo passati attraverso tante cose, solo noi lo sappiamo”

E poi ci sono le emozioni. Quelle vere, profonde, che non servono le lacrime per comunicarle. “Anche se non piango, questo è un momento molto emozionante. Solo io e le persone a me vicine sappiamo cosa abbiamo vissuto quest’anno, dentro e fuori dal campo. Non è stato facile. Abbiamo spinto tanto negli allenamenti, anche quando facevo fatica a livello mentale. Eppure sono sempre andato avanti. E poter condividere questa giornata con tutta la mia famiglia qui… è la cosa più bella”.
A Parigi c’era solo mamma Siglinde. A Londra invece c’erano anche papà Hans-Peter e il fratello Marc. C’era Simone Vagnozzi, che ha confessato di non aver mai pianto per uno Slam. “Questa volta sì”, ha detto. C’era Darren Cahill, al centro di una scommessa “segreta”. “Gli ho detto che se vincevo Wimbledon, a fine anno decidevo io se restava. E adesso la scelta è mia”, rivela Jannik ridendo. “Ho sempre voluto accanto una persona onesta, che sappia gestire sia i successi che le delusioni. Darren lo è. Vedremo, di sicuro non gli farò fare il giro del mondo ma dovremmo capire come organizzarci.”

“Alcaraz? Mi ha reso un giocatore migliore”

Il successo contro Alcaraz assume un valore ancora più alto nel contesto della rivalità tra i due. “È importante batterlo, perché avevo perso le ultime volte, ma sapevo di essere vicino. A Pechino persi al tie-break del terzo, a Roma ebbi set point, a Parigi tutti sappiamo com’è andata. Non mi sono mai buttato giù. Ho continuato a guardare a lui come un riferimento. Anche oggi, in certi momenti, ha fatto cose migliori di me. E questo mi spinge a lavorare ancora di più”.

Una rivalità che lo motiva, lo plasma, lo migliora. “Sì, Carlos mi ha già reso un giocatore migliore. È giovane, vince tanto, e se vuoi stargli dietro devi lavorare ogni giorno, ma io credo di non essere ancora al massimo. A 23 anni non si può esserlo. Sto cercando quei dettagli che fanno la differenza: lo 0,1%, come dico spesso. Ed è per questo che serve un grande team intorno, che sappia capirti e farti crescere”.

“Non avrei mai creduto a chi mi diceva che avrei fatto finale a Parigi e vinto qui”

Gli chiedono se, a marzo, si sarebbe aspettato un simile exploit dopo il periodo buio. La risposta è schietta: “Assolutamente no. È difficile anche solo arrivare nelle fasi finali di uno Slam. Quando ho perso la finale di Parigi, ho provato ad accettarlo. Meglio perdere una finale così, lottando, che prenderle e basta. Mi sono detto che era importante non buttarmi giù, perché c’era un altro Slam alle porte. E oggi sono qui con questa coppa”.

E poi c’è un passaggio fondamentale, in quella che è una filosofia ormai marchiata Sinner: “Mettere intensità in ogni allenamento, anche quando non ti va, anche quando fai fatica. È così che si costruiscono i successi. Questa vittoria è anche merito di quello”.

“Wimbledon è diverso. E lo sarà sempre”

Sinner si scioglie difficilmente in pubblico ma quando parla di Wimbledon, gli brillano gli occhi: “Non lo paragono a nessun altro torneo. Wimbledon è diverso. Qui tutto è speciale. L’erba, il pubblico, la storia. Già all’inizio della mia carriera pensavo che, con i miei colpi piatti, avrei potuto giocare bene su questa superficie. Ma solo adesso, con la giusta maturità fisica e mentale, ho davvero capito come affrontarla”.

E l’incontro con la Principessa del Galles? “Non sapevo cosa dire, sono momenti delicati, ma ho cercato di essere naturale. Ho chiesto ai bambini se giocavano a tennis, che racchette usavano… È stato bellissimo. Loro seguono con passione questo sport, e per noi è un onore”.

“Mi rendo conto di aver scritto una pagina importante. Ma la storia si fa col tempo”

E ora che succede? Come si motiva uno che è diventato numero uno del mondo e ha vinto Wimbledon? La risposta arriva secca: “La motivazione è altissima. Io voglio trovare i miei anni migliori. So che non ci sono ancora arrivato. E ci sono sempre traguardi da raggiungere. Io lavoro per migliorarmi, non per essere ‘il primo italiano a…’. Lo faccio per me stesso, anche se ovviamente sento l’orgoglio di rappresentare l’Italia”.

Qualcuno gli chiede se si rende conto di essere entrato nella storia. Sinner riflette. “Sì, me ne rendo conto, ma ho 23 anni. La storia vera la scrivi con continuità, anno dopo anno. Quello che ho fatto finora è importante, ma voglio andare avanti. Ho vinto tornei che mancavano all’Italia, ho portato numeri mai visti prima, ma il lavoro non smette mai”.

La reazione dopo Dimitrov e il ballo con Iga

Questa finale non chiude nulla. Anzi, apre tutto. “Ci sono ancora tanti tornei, tante sfide, ma certo… oggi è un giorno speciale. Lo è stato anche il percorso: dopo la partita con Dimitrov, quando avevo male, ero preoccupato, non sapevo come avrei reagito, ma da lì in poi ho alzato il livello, ho servito benissimo, e tutto è cambiato. Una notte può fare la differenza. L’abbiamo vista”.

E mentre qualcuno gli chiede se ballerà con Iga Swiatek alla Champions’ Dinner, lui sorride: “Ballare non so… però me la cavo”.