La prima volta del Trapani Pride: così si trasforma la paura in orgoglio
C’è la magia delle prime volte. Come quando approdi su un’isola, e la prima impronta è la tua. A questo giro, l’isola è la Sicilia. Costa occidentale, Trapani. Dove quest’anno per la prima volta ci sarà il pride. “Se chiudo gli occhi, pensando al 26 luglio, riesco già a immaginare la mia città affollata. Piena di bandiere e colori, simbolo d’apertura e rispetto verso ogni persona. Emozione pura!” sono le parole di Piero Barbara, uno degli attivisti che si è imbarcato in questo viaggio. “Dopo diversi anni trascorsi fuori dalla mia città – mi dice ancora – per me è un sogno sapere che per la prima volta si sta organizzando il pride”.
La Sicilia non è nuova ai pride, anzi. Lo scorso anno è stata la regione con più cortei. In Sicilia il pride è storia antica. Già dal 2000, quando l’allora Open Mind – associazione Lgbt+ indipendente – dava forma, per la prima volta, al corteo a Catania. Quest’anno è la volta di Trapani. La prima volta di questa città.
“Non avevo mai fatto attivismo prima di far parte di Arcigay Trapani” sono le parole di Domenico Errera, membro del comitato Trapani Pride. “Sono stato felicissimo quando mi hanno invitato a fare parte di questa avventura, era un dovere che sentivo nella mia coscienza”. Un’avventura fatta da relazioni, in primo luogo. “Ho conosciuto gente fantastica, si sono creati legami bellissimi e, soprattutto, siamo diventatə un punto di riferimento per tutte quelle persone che ancora oggi combattono per essere semplicemente se stesse. Il 26 luglio sarà un momento indimenticabile, non riesco a reggere l’emozione quando ci penso”.
Una storia che sa già di futuro, ma che ha le sue radici intime. E lontane. Si innesta in una consapevolezza che, da privata, si fa politica. E si traduce nel proprio stare al mondo. È la storia di Viviana Giubilo, presidente di Shorùq, l’associazione che sta mandando avanti i lavori del pride: “Non è mai troppo tardi. Se dovessi riassumere in una frase la mia vita, questa sarebbe la più calzante”. Quarantanove anni, sguardo mite e incorniciato da occhiali a goccia, Viviana nel corso della sua vita ha pensato spesso di aver mancato qualche appuntamento. Per poi essere smentita dall’imprevisto. “Mi ripetevo che era troppo tardi. Per un nuovo lavoro, per una nuova città, per nuovi amori, per il ‘primo’ coming e un’associazione da creare…”. Poi la vita, semplicemente, accade. “Trapani è l’emblema di quel ‘non è mai troppo tardi’. Questo pride mi permette di essere me stessa, di superare quella solitudine che mi ha accompagnato per troppo tempo, di farlo in questa città dove tutto sembra così lontano e irrealizzabile… ma con la forza e la condivisione con lə altrə diviene possibile”.
Non è l’unica, Viviana, ad aver cambiato città e di essersi ritrovata in un posto che è lontano da tutto solo se lo guardi sulla carta geografica. Perché ogni luogo è casa, nella misura in cui lo vivi. “Sono originaria di Augusta – mi confessa Daniela Petracca, anche lei del team di Shorùq – poi sei anni fa mi sono trasferita qui per lavoro. Tornavo da Londra, dopo quasi vent’anni. Avevo quasi dimenticato quanto sia preziosa e fragile la lotta per i diritti, anche quelli che ci sembrano intoccabili. Ma che oggi, con dolore, vedo messi in discussione”. Un bel salto nel vuoto, dalla metropoli alla piccola realtà di provincia. Ma sono le nostre scelte a dare un senso al tempo che siamo chiamatə a vivere nel presente. “Tornare in Italia, qui a Trapani, non è stato un semplice cambio di città. È stato un ritorno che ha risvegliato in me qualcosa di profondo: la consapevolezza di non essere una semplice spettatrice. Ho sentito il bisogno di scrivere una pagina nuova, di far sentire la mia voce”.
Shorùq nasce così. Cinque anni fa, con il primo nucleo di Arcigay Trapani, allora ancora sottogruppo del comitato di Palermo. Poi, sulla costa occidentale, hanno cominciato a volare con le proprie ali. Col desiderio, mi dicono quasi in coro, di dar luce a chi spesso resta invisibile, di costruire un faro capace di illuminare la comunità Lgbtqia+ locale, di trasformare la paura in orgoglio e l’isolamento in appartenenza.
“Portare una luce nelle strade, accendere la speranza negli angoli ancora bui di questa provincia” dice ancora Daniela, e senti una vibrazione diversa in quelle parole. Come di qualcosa che sta per rompersi, per poi tornare solida: “Offrire a chi verrà dopo di noi ciò che a me è stato negato quando avevo la loro età”. Che poi, come dicevo più su, è la magia delle prime volte. Una prima volta che si popola di futuro.
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