Tagli alla scuola pubblica, ma investimenti sulla paritaria: così si sfregia la nostra identità
di Davide Trotta
I proclami trionfalistici del numero uno di viale Trastevere, fiero degli imponenti investimenti sul settore scolastico, tradiscono la propria fallacia quando messi alla prova dei fatti. La realtà consegna per contro uno scenario orientato a tagli e riduzione di organici in tutta Italia. Per esempio a Torino si paventa la possibilità di dimensionamento per istituti storici quali Bodoni-Paravia, Steiner, Birago, Zerboni, Peano, Beccari. Sorte analoga spetta ai corsi per adulti, più noti come “scuole serali”, ormai da anni in sofferenza e sempre più soggetti a riduzione di classi e tagli di organico.
Che le finanze del Paese siano esangui è noto e bisogna fare di necessità virtù. Tuttavia balza all’occhio un dato sintomatico dell’attenzione particolare rivolta alle scuole paritarie che, già beneficiarie di corpose rette, godono altresì di massicci investimenti statali: 750 milioni di euro è il dato per l’anno scolastico 2024/2025, in un crescendo di erogazioni susseguitesi negli anni che trovano nel governo Meloni il vertice più alto. Ma forse questa è la giusta traduzione in termini economici del memorandum meloniano “sono Giorgia, sono una mamma, sono cristiana”. Tale atteggiamento così indulgente verso le paritarie suona in contrasto col mantra dell’inclusione tanto sdoganato specie in ambito scolastico: l’idea che invece si voglia plasmare lentamente una scuola elitaria, orientata all’esclusività e al servizio delle più alte fasce di reddito, pare confortata proprio dai fatti.
E giustificare in nome della denatalità il dimensionamento degli istituti e la conseguente riduzione del personale appare poco probante, in quanto operazioni analoghe hanno investito e continuano a investire settori centrali del Paese come la sanità, i trasporti e anche la cultura. Anzi, la denatalità potrebbe offrire in questo caso la possibilità di predisporre finalmente classi che non straripino oltre le trenta unità.
Aberranti poi le conseguenze dei tagli. Esempio: il ventilato accorpamento tra istituti come Bodoni-Paravia e Birago oppure Steiner e Beccari a Torino trancerebbe a pieno storia, tradizioni, specificità e percorsi di apprendimento di scuole che diventano vittime da immolare sull’altare dei “numeri”. Parimenti la riduzione all’osso degli istituti serali soggiace al consueto “principio dell’accetta” e non tiene conto di numeri dirimenti: secondo dati Istat risalenti al 2023, in Italia nella fascia di popolazione compresa tra i 25 e i 64 anni soltanto il 65,5% risulta in possesso del diploma, dato tanto più allarmante se messo a confronto con l’83,1% della Germania e l’83,7% della Francia.
Ciò vuol dire che le scuole serali hanno ancora tanto da dire e da dare. Il tentativo di azzopparle si configura quale “attentato” socio-economico alle fasce più fragili, in cerca di un riscatto nella vita, di opportunità lavorative o anche solo del conforto di chiacchiere e incontri. Ricordo di aver avuto in classe un signore 67enne già in pensione che si risolse a coronare il proprio sogno: prendere quel “pezzo di carta” che non era mai riuscito a portare a casa da giovane. Il serale garantisce un’altra e non meno alta componente della scuola che sarebbe un peccato perdere: momenti quasi simposiali per via dell’utenza ridotta rispetto alle classi pollaio del diurno, studenti che entrano a scuola dopo il lavoro portando esperienze e vissuti diversi che a volte fanno prendere alle lezioni pieghe inattese per l’originalità dei contributi e la diversità di prospettive.
Inoltre i serali odierni, a differenza di quelli del passato frequentati da gente decisamente più “adulta”, assumono sempre più i contorni anche di “sfida generazionale”, poiché mettono a confronto e a contatto fasce d’età molto distanti tra loro che hanno l’occasione di scambiarsi punti di vista e visioni culturali e di vita spesso agli antipodi, anche per la componente migratoria presente. Insomma un’opportunità irripetibile di arricchimento e di costruzione di “ponti” etnici e generazionali. Pertanto il “principio dell’accetta” finisce per incidere pesantemente anche sull’assetto storico-culturale di un Paese che nel corso del tempo ha conosciuto l’erosione di quote vitali del proprio patrimonio: sanità, scuola, aziende, tutti settori saccheggiati da politiche miopi che, giocando in continua sottrazione, sono più simili al comportamento di chi, erede di patrimonio inestimabile, lo dissipi a poco a poco per tamponare momentaneamente falle che a interpreti di una politica di più ampio respiro, in grado di conciliare tradizioni consolidate con istanze di innovamento.
Il rischio è che, a forza di tagliare, si sfregi sempre più la propria identità, la propria storia, fatta di eccellenze come lo è stata proprio la nostra scuola. Si finisce così per sacrificare ai conti, che in ogni caso non tornano mai in Italia, cultura, abilità e cervelli, destinati parimenti a non tornare più. Altra considerazione sulla “scuola in sottrazione”: la scuola di 4 anni delineata per il futuro implica ulteriore taglio del personale e inevitabile riduzione dei programmi che verranno diluiti in provetta. In compenso abbiamo il latino facoltativo alle medie. E, sentendo le grida di giubilo con cui studenti più grandi lo affrontano alle superiori, possiamo immaginare l’entusiasmo di massa con cui gli studenti delle medie si fionderanno su corsi di latino per giunta facoltativi.
In ogni caso obiettivo della scuola dei 4 anni è addestrare al mondo del lavoro, consegnare forze fresche alle aziende che però – forse lo si dimentica – sono anch’esse sparite o in forte contrazione. Sono le stesse operazioni al ribasso che hanno portato addirittura il Paese a non avere neppure una compagnia aerea di Stato, per fare un esempio paradigmatico. Tagliare disvela incapacità intellettuale di dominare il reale, incapacità di pervenire a una “sintesi”: e quando si scopre la propria impotenza, si cerca rimedio in un’operazione che in fin dei conti è espressione d’uso colloquiale…”diamoci un taglio”. Ma quello lo diciamo noi comuni. La politica forse dovrebbe ambire a piani superiori.
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