Al premio diretto da Gianni Letta la sezione diritti umani è presieduta da Carlo Nordio. In barba al caso Almasri e ai suicidi in carcere
Incredibile, ma vero. Si può essere, contemporaneamente, presidenti di un premio per i diritti umani, ma rimandare in Libia il generale Njeem Osama Almasri, ricercato dalla Corte penale dell’Aja proprio per i suoi crimini contro i migranti. Non basta. Si possono anche contare sul pallottoliere i detenuti che si suicidano in carcere uno dopo l’altro – 90 l’anno scorso, già 15 quest’anno, l’ultimo forse ieri – senza un vero scatto d’orgoglio umanitario. E chi riesce, nel Governo Meloni, a interpretare entrambe le parti in commedia mettendo e togliendo quando serve la maschera giusta? Il Guardasigilli Carlo Nordio ovviamente. Ecco l’ultima performance, fresca di ieri, del nostro titolare della Giustizia. Parata di ministri a Palazzo Chigi e al tavolo d’onore anche l’eminenza grigia berlusconiana Gianni Letta, presidente del premio De Sanctis, promosso dall’omonima fondazione Francesco De Sanctis, intitolato al noto storico e critico letterario italiano. Un premio, addirittura un riconoscimento internazionale, per persone che hanno rappresentato l’eccellenza nella letteratura, nell’economia, nella cultura europea, e che si sono anche distinte nella difesa dei diritti umani.
E chi è il presidente del premio per i diritti umani? Proprio Carlo Nordio. Che resta al suo posto anche quest’anno nonostante il recentissimo caso Almasri per il quale su di lui pende la mozione di sfiducia presentata dalle opposizioni. Avrebbe dovuto essere discussa già questa settimana con il voto finale in aula alla Camera, ma è stata rinviata alla prossima forse per evitare la sgradevole coincidenza tra la cerimonia dei premi e il dibattito parlamentare. Nordio non avverte alcuna contraddizione, né i suoi collaboratori e consiglieri lo mettono in guardia dall’evidente conflitto. Lui può criticare la sentenza delle Sezioni unite civili della Cassazione sui migranti, che riconosce a uno di loro un indennizzo per i dieci giorni in cui è rimasto “prigioniero” della nave Diciotti per ordine dell’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini, e dire che “ha effetti potenzialmente devastanti”. E nello stesso tempo vantare come un toccasana l’iniziativa “Liberi libri”, e cioè l’invio di libri in carcere “portando cultura”. Fa anche un esempio. Vorrebbe leggere al Beccaria di Milano un racconto di Anatole France intitolato “Crainquebille”. Nordio riesce perfino a criticare i giudici perché – come riferisce Gnews, il giornale online di via Arenula – si tratta della storia di un venditore ambulante che per aver offeso un vigile entra, come dice il Guardasigilli, in un “vortice giustizialista, o giudiziario”. Un libro che racconta “la lotta del potere nei confronti della persona debole, ed è la lotta del debole contro l’ottusità delle leggi e anche di alcuni magistrati”. Già, per Nordio le toghe sono sempre colpevoli di tutto.
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