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Challenger Rosario: Dzumhur perde il controllo e inveisce contro l’arbitro

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Caldo, terra rossa, Sud America e sfuriate contro l’arbitro. Il circuito Challenger come purgatorio tennistico dove i giocatori spesso sono anche quasi più incattiviti e roventi rispetto all’ATP tour. Lo abbiamo visto recentemente con la squalifica di Renzo Olivo dal Challenger di Santiago, o giusto qualche settimana fa con l’espulsione della coppia formata da Jakub Paul e Matej Vocel dalla finale di doppio del Challenger di St. Brieuc. Questa volta è il Challenger 125 di Rosario a finire sotto i riflettori e il protagonista è la quarta testa di serie Damir Dzumhur, ex numero 23 al mondo, attuale 90esimo tennista ATP.

A livello di ottavi di finale il bosniaco ha giocato e perso il match contro il tennista di casa Juan Pablo Ficovich per 6-2 7-6(4). Tutto normale verrebbe da dire. Lo sfavorito ha vinto, ma il tennis è anche questo. Non è però la partita in sé che ha sollevato problemi, quanto più l’atteggiamento di Dzumhur a un certo punto della partita. Secondo lui la linea di fondocampo dal suo lato della rete era ‘fuori asse’ e rischiava di procurargli un infortunio. Da questa premessa è partito il putiferio.

Vai a controllare la linea!” – dice bruscamente Dzumhur alla giudice di sedia. “Mi capisci!? Non vuoi controllare nulla? Ok, chiama il supervisor adesso. Te l’ho detto dieci volte: se non vai a controllare la linea non continuo a giocare, mi romperei una gamba. Vieni qua, ti faccio vedere. Guarda, la linea è fuori (intende dire che è ‘fuori asse’ e nel mentre calcia la terra rossa lì intorno con rabbia), vedi!? Cosa stai facendo qua? Chi sei? Sei il giudice di sedia, no? Cosa stai facendo qui allora?” È buona quindi (la linea, ndr)?” – domanda con fare irritato il bosniaco alla giudice di sedia. “Continuiamo a giocare o la mettono a posto? Cos’hai che non va?E poi, rivolgendosi a Ficovich, Dzumhur continua con la sua lamentela parlandogli dell’arbitro: Se fosse una persona normale avremmo risolto in venti secondi. Siamo qui da cinque minuti.

Come spesso accade, giustamente il tennista si rivolge all’arbitro per metterlo al corrente di qualcosa o per fargli presente una situazione che, secondo il suo parere, è stata gestita male. Le motivazioni sono quindi nobili, ma il modo di porsi è decisamente inaccettabile. E nel tennis, non solo a livello Challenger, questi scambi sono sempre più frequenti. Tutto ciò deve cambiare.