La lezione di Trump sui dazi e sulla politica commerciale: l’Europa o è forte oppure non è
Finita l’inaugurazione, la messa con la donna vescovo che ha fatto la morale a Donald Trump e la grazia per i 1600 di Capital Hill, qualcuno ha tirato un gran sospiro di sollievo. Nelle decine di atti esecutivi non si vedeva alcun dazio. La calma è durata molto poco: qualche ora dopo è arrivata la doccia fredda. Donald ha ricordato al mondo che, in assenza di azioni concrete, il 1 febbraio scatterà la tagliola: fino al 25% di aumento sui prodotti in arrivo da Messico, Canada e Cina. Queste tre nazioni sommano quasi il 33% delle importazioni degli Usa. Insieme esportano nel paese americano beni per 1500 miliardi di dollari. E ne importano per mille miliardi. La ragione dei dazi non è, però, economica. È politica. Trump fa, infatti, sapere che vuole misure di sicurezza sul confine per impedire l’attraversamento di uomini (Canada e Messico) e Fentanyl (Cina).
Questo ci fa capire che, anche se hanno lo stesso nome, i dazi dell’inaugurazione e quelli che verranno usati in seguito per ottenere un riequilibrio della bilancia commerciale americana, sono cose molto diverse. Quelli del 1 febbraio sono, in certo modo, facili da evitare. E soprattutto non riguardano l’Europa. Noi dobbiamo prepararci per i prossimi. Nel 2022 la bilancia commerciale Usa-Europa è stata di 1300 miliardi di dollari, con un vantaggio europeo di 130 miliardi. Nel 2023 i rapporti sono rimasti pressoché invariati. Gli Usa sono il primo mercato per esportazioni, ma solo il secondo per importazioni. In particolare per quanto riguarda la manifattura, un settore strategico per Trump, perché dà lavoro agli stati che lo hanno fatto vincere, come Wisconsin e Pennsylvania.
La lezione di Trump: Almirante e quell’Europa che dev’essere forte
Insomma, per ora siamo al riparo, ma la cosa non durerà in eterno. Se vogliamo reagire e non restare passivi in attesa del destino dobbiamo prendere atto di una verità fondamentale: Trump cambia la politica. Salta il paradigma degli Usa “poliziotto globale”, a cui va bene che gli alleati paghino la protezione con l’accondiscendenza politica. Salta il rapporto di protezione, ma con esso anche i vantaggi connessi. Ad esempio, un esercito molto forte e gratuito (si parla dell’imminente ritiro di 20mila uomini dal teatro europeo). O la possibilità di non spendere (quasi) nulla in difesa, senza ripercussioni. Il costo di questo cambiamento esiste, ed è oneroso. Come possiamo affrontarlo, in una fase di assoluta fragilità come quella attuale?
Giorgio Almirante, in un famoso discorso, diceva che “l’Europa o va a Destra o non si fa”. Intendeva nella direzione di un continente coeso e basato sugli elementi che davvero uniscono: le comuni radici, l’aspirazione a contare ancora nello scacchiere internazionale, la volontà di indipendenza dai due blocchi. Quarant’anni dopo, quel monito è ancora vivo. Non possiamo dividerci, se vogliamo contrattare dazi e tariffe con un imprenditore spregiudicato come Trump. Ma per restare uniti non possiamo basare la casa comune su banche, debito e alchimie burocratiche. Se ci dividiamo è la fine, ma se non ricostruiamo il sogno europeo alla base non saremo mai uniti.
Giorgia Meloni da The Donald: in Ue non comprendono le mosse italiane
Un esempio: invece di leggere come un atto coraggioso e saggio la presenza di Giorgia Meloni all’inaugurazione, come sarebbe stato corretto, a Bruxelles è iniziata la caccia alle streghe. Si teme qualcuno possa rompere il fronte necessario a rispondere ai dazi. Questa posizione non ha senso. In ogni scenario commerciale ci vuole un mediatore. Il mediatore farebbe molto male il suo lavoro se non mostrasse un viso collaborativo alla controparte. Ma la reazione è anche comprensibile, se la si legge come la levata di scudi di una oligarchia burocratica all’iniziativa politica di una rappresentante eletta dal popolo. Questa è miopia. Trump non discuterà mai con le oligarchie dell’Unione, vuole persone vere e legittimate. E questa è un’occasione unica per dargliele, facendo sì che la sovranità dell’Ue passi dalla mano dei burocrati ai rappresentanti delle nazioni, dicendo basta agli anonimi funzionari ma tornando a contare come popoli. Quella Europa dei Popoli che, finalmente, potrà assumere una soggettività unica e libera sullo scenario internazionale.
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