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Январь
2025

Dighero: «Il mio Avaro è un eroe moderno. Ricicla, non è un consumatore sciocco»

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Un “Avaro” che di certo è tirchio, ma in fondo risparmia, ricicla e riutilizza, quasi un eroe moderno. È questo l’Arpagone che porta in scena Ugo Dighero nella famosa commedia di Molière, in programma martedì 28, alle 21, al teatro Sociale di Stradella. Genovese, 65 anni, fondatore con Maurizio Crozza del gruppo comico “I Broncoviz”, Dighero è stato protagonista di opere di Stefano Benni e Dario Fo.

In tv ha partecipato a “Mai Dire Gol” e a diverse fiction, tra cui “Un medico in famiglia” e “Ris”. A breve tornerà nella terza serie della fiction “Blanca” nei panni del padre della giovane consulente della polizia non vedente.

Mi permetta una battuta, ma “L’Avaro” non poteva che essere interpretato da un genovese. «Finalmente un genovese che fa Molière!

«Noi genovesi le frasi dell’Avaro le abbiamo attaccate con la calamita sul frigorifero, per noi è un maestro. Il genovese si dice che è parsimonioso. Ma di questa cosa del “braccino corto” mi sono reso conto quando ho iniziato a girare fuori dalla Liguria, quando tutti fanno a gara per offrire al bar e tu fai finta di aver dimenticato il portafoglio. È una leggenda, ma, come sempre, c’è anche un fondo di verità».

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Come ha affrontato il personaggio di Arpagone?

«È una delle prime volte che affronto un classicone. Come sempre, i classici si chiamano così perché riescono a scavallare lo scorrere del tempo e portare idee che sono sempre moderne e attuali. Infatti, rileggendo il testo, abbiamo scoperto che, tutto sommato, Arpagone ha sì un caratteraccio, l’avarizia è un difetto orribile, però è uno che risparmia, ricicla, riutilizza e non è un consumatore, come invece ormai siamo tutti, schiavi di questo mondo, basato su un concetto di crescita infinita, che sappiamo benissimo che non è la realtà. Agli occhi dell’uomo contemporaneo, quindi, da un certo punto di vista è un eroe. Questo è il primo elemento che mi ha incuriosito».

E poi?

«Il secondo aspetto è che abbiamo fatto un grandissimo lavoro sui rapporti tra i personaggi che per il regista Luigi Saravo sono importantissimi. Abbiamo addirittura dedicato gran parte delle prove all’ascolto di quello che accade in scena, cercando di essere sempre sul pezzo, attenti alle minime variazioni, inserendo dopo il testo».

La lezione di Molière quindi è sempre attuale?

«Assolutamente. Infatti, l’ambientazione è moderna, anche se non c’è un riferimento specifico dei nostri tempi, è un non luogo e un non spazio, però si capisce chiaramente da alcuni elementi – ad esempio i telefonini – che siamo in un’epoca contemporanea. Devo dire che questo spostamento funziona, il pubblico gradisce molto, soprattutto i giovani sono entusiasti perché siamo riusciti a comunicare in una maniera per loro accattivante».

Che periodo sta vivendo il teatro italiano?

«È una catastrofe, soprattutto se pensiamo all’effervescenza del teatro di 30-40 anni fa. Del resto, è un periodo in cui politicamente la cultura non è considerata un valore importante. Anche quando si cerca di fare qualcosa in teatro, non si parte più dal testo, ma dai nomi. Fortunatamente, dopo il Covid, i teatri sono tornati pieni, ma se uno guarda in sala vede solo teste canute, trovare un quarantenne è dura, dei ragazzi è quasi impossibile. Eppure, si potrebbe pensare a qualche spettacolo per “iniziarli”, perché, una volta che uno si esalta con il teatro, è fatta per tutta la vita. Con un po' di attenzione, credo si potrebbe riportare un po' di ragazzi a teatro, bisogna provarci almeno».Oliviero Maggi