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Il mio giardino persiano, un inno alla vita contro il regime iraniano - Video

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Con delicatezza amara, ma senza indugi e frontalmente, Il mio giardino persiano ci porta dentro le vite compresse di chi abita il regime iraniano, nella quotidianità di leggi castranti e ingiuste di una vedova a Teheran. Dal 23 gennaio al cinema con Academy Two, dopo essere stato presentato al Festival di Berlino, è diretto da Maryam Moghaddam e Behtash Sanaeeha. Alla Berlinale però i due registi iraniani non erano potuti andare: i loro passaporti erano stati confiscati e tuttora sono bloccati. Per il loro film, sono nel mezzo di un processo.

Protagonista de Il mio giardino persiano è Mahin, interpretata da Lily Farhadpour, una donna sulla settantina vedova e sola che, dopo un pranzo con le amiche, decide di rompere la sua routine solitaria e di riaprirsi all’amore. Un incontro inaspettato si trasformerà in una serata indimenticabile, tra piccoli semplici desideri proibiti: un bicchiere di vino, un ballo, risate divertite.

Immagine del film "Il mio giardino persiano" (Photo By Hamid Janipour)

«Per anni le donne iraniane hanno dovuto confrontarsi con leggi ingiuste come l’obbligo di indossare l’hijab e la mancanza di pari diritti», dicono i due registi nelle note stampa. «Le relazioni con il sesso opposto vengono osservate al microscopio in tutte le situazioni. Queste condizioni diventano ancora più complesse quando una donna decide di vivere da sola, come nel caso della nostra protagonista. Mahin non ha scelta: deve preoccuparsi delle opinioni e delle minacce di una società religiosa e misogina. È una donna le cui libertà fondamentali sono limitate da leggi che sono intrinsecamente anti-donna».

La pre-produzione del film è cominciata tre mesi prima dell’inizio del movimento "Donna, vita e libertà" in Iran. «Eravamo all’inizio delle riprese quando Mehsa Gina Amini fu uccisa. La nostra troupe era sotto shock e non è stato facile continuare a lavorare nello stato d’animo in cui ci trovavamo», hanno raccontato Maryam Moghaddam e il suo compagno Behtash Sanaeeha. «Erano giorni terribili. Le riprese dovettero essere fatte il più possibile in segreto. Non potevamo fermarci, né poteva essere ignorato quello che succedeva nelle strade. Anche se eravamo in grande difficoltà, concordammo tutti insieme di portare avanti e terminare questo film. Un film che vuole essere un inno alle donne, un inno alla vita e un inno alla libertà».

Come dimostra anche Il seme del fico sacro di Mohammad Rasoulof, che riempie il film di scioccanti immagini della repressione del movimento “Donna, vita e libertà”, nonostante le minacce, la violenza e la censura, il cinema iraniano è ancora vivo. E in lotta.

In questo video in esclusiva un estratto de Il mio giardino persiano: