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Il processo telematico è un disastro in tutta Italia: da Milano a Roma, da Napoli a Catania, Tribunali già costretti a sospendere l'”App” di Nordio

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Nei palazzi di giustizia si è appena ricominciato a lavorare a pieno regime. Ma la “rivoluzione” del processo penale telematico, apparecchiata dal ministro Carlo Nordio durante le feste, ha già partorito il flop ampiamente previsto: di fronte all’inadeguatezza di App, il software sviluppato dal ministero, i presidenti dei Tribunali di tutta Italia si sono ribellati in massa, sospendendo le nuove regole appena entrate in vigore. In base a un decreto del Guardasigilli pubblicato il 30 dicembre, infatti, dal 1° gennaio il deposito informatico – previsto dalla riforma Cartabia del 2021 – è diventato obbligatorio per una lunga serie di atti: oltre all’archiviazione delle indagini (digitalizzata già dall’anno scorso, con risultati disastrosi), si dovranno caricare su App anche tutti i documenti dell’udienza preliminare, del dibattimento di primo grado e di alcuni importanti riti speciali, cioè il patteggiamento, il decreto penale di condanna e la messa alla prova. Nelle scorse settimane, in una durissima relazione, il Consiglio superiore della magistratura aveva avvertito sul rischio di “paralisi” del sistema, definendo l’applicativo “inidoneo a gestire un settore strategico quale è la giurisdizione penale” a causa dei continui crash e malfunzionamenti. Ma Nordio ha tirato dritto, concedendo una proroga di tre mesi del “doppio binario“, cartaceo e digitale, soltanto per i giudizi abbreviato, immediato e direttissimo (per le misure cautelari, invece, ci sarà tempo fino all’anno prossimo).

Al rientro dalle vacanze, quindi, le toghe si sono trovate a dover utilizzare per legge un software inutilizzabile: l’Associazione nazionale magistrati, organismo di rappresentanza di giudici e pm, ha denunciato le “numerosissime segnalazioni di errori di sistema” arrivate in appena un paio di giorni, parlando di un “fallimento annunciato” nonostante i “segnali di allarme lanciati da tempo”. Così, per sbloccare lo stallo, da Nord a Sud i presidenti dei Tribunali hanno fatto di necessità virtù, rinviando di propria iniziativa l’applicazione del decreto fino al prossimo 31 marzo: per farlo si sono appellati all’articolo 175-bis del codice di procedura penale, che consente ai dirigenti degli uffici di disporre il ritorno all’analogico in caso di “malfunzionamento” dei sistemi informatici. A indicare la rotta, il 2 gennaio, è stato il presidente del Tribunale di Bari: il giorno successivo lo hanno seguito i pari grado di Foggia e Siracusa. Lunedì 6 è intervenuto il capo del Tribunale di Catania, mentre martedì 7, nel primo vero giorno di ripresa dell’attività, sono scesi in campo i pesi massimi: App è stata bloccata sia a Roma (fino al 31 gennaio), sia a Milano sia a Napoli, oltre che nella piccola Rieti (pure qui solo per un mese).

Nei provvedimenti, i capi degli uffici tratteggiano un affresco micidiale della situazione: i giudici della Capitale, scrive il presidente reggente Lorenzo Pontecorvo, “hanno variamente riferito di frequenti segnalazioni di errori inaspettati, con veri e propri blocchi e rallentamenti difficilmente compatibili con lo svolgimento ordinario dell’attività giudiziaria. Tali segnalazioni”, aggiunge, “destano particolare allarme tenuto conto” che in piazzale Clodio si celebrano circa quaranta udienze al giorno, ognuna con una trentina di processi. “Numerosi magistrati”, segnala inoltre Pontecorvo, non sono abilitati alla firma digitale, mentre altri, “pur profilati, non vengono riconosciuti dal sistema che si blocca con la dicitura in riquadro rosso di errore: sono stati aperti numerosi ticket non ancora risolti”. Ancora, “moltissimi giudici, pur accedendo ad App, tuttavia non “vedono” i fascicoli, perché non sono stati migrati e dunque non è possibile “lavorare” digitalmente su di essi; oppure i fascicoli, pur risultando migrati, non sono ancora visibili nel dettaglio. È poi frequente”, prosegue, “il “bloccomomentaneo dell’applicativo, con una successiva ripresa dell’operatività dopo diversi minuti (a volte anche 15 minuti) il che rappresenta un ulteriore rallentamento dell’udienza. Tutte le criticità elencate ed altre ancora sono state oggetto di segnalazione con apposito ticket, e alla data attuale nessuno di essi è stato risolto”, conclude.

Anche a Milano, scrive il presidente del Tribunale Fabio Roia, nel software “sono state riscontrate aporie che lo rendono non compatibile con il processo penale, quali, a titolo meramente esemplificativo, la mancanza e la inidoneità di modelli di atti e l’impossibilità di sottoscrivere il verbale di udienza da parte del giudice”. Per questo, sottolinea, l’obbligo di usare App è “suscettibile di generare problematiche di natura informatica in grado di ripercuotersi sull’attività processuale, con un rallentamento delle risposte giudiziarie contrario anche al principio di celere definizione del procedimento penale, non essendo stato realizzato un adeguato periodo di sperimentazione”. A Napoli, più sinteticamente, la presidente Elisabetta Garzo parla di “evidenti e molteplici criticità che di fatto impediscono il proficuo e pieno utilizzo” dell’applicazione. Da Bari, nel provvedimento “pioniere”, il presidente del Tribunale Alfonso Pappalardo scrive invece che l’obbligo di usare il software è “suscettibile di generare problematiche di natura informatica allo stato non preventivabili, non essendo stato realizzato un adeguato periodo di sperimentazione”. A Catania e Siracusa, i presidenti Francesco Mannino e Dorotea Quartararo segnalano che finora non è stato possibile caricare su App le motivazioni delle sentenze “in quanto il sistema segnala una schermata di errore nell’invocazione dei servizi – 500 Internal Server Error“. Un quadro horror che GiovanniCiccioZaccaro, giudice della Corte d’Appello di Roma e segretario della corrente progressista di Area, commenta così: “Gli avvocati ed i cancellieri accettano la sfida della tecnologia ma chiedono una programmazione seria, non decisioni dell’ultimo minuto come avvenuto con l’ultimo regolamento ministeriale. Soprattutto pretendono un sistema telematico efficiente e che l’assistenza e la formazione siano garantiti in modo continuativo”.

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