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Assalto agli ospedali di Gaza: ignorate tutte le denunce, l’Occidente è complice

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di Roberto Iannuzzi *

Nelle prime ore del 27 dicembre, le forze armate israeliane hanno preso d’assalto l’ospedale Kamal Adwan di Beit Lahiya al termine di un assedio, durato quasi una settimana, a quella che era l’ultima struttura sanitaria funzionante nel nord della Striscia di Gaza. Reparti chirurgici, laboratori, unità di emergenza, sono andati bruciati. I pazienti sono stati forzosamente rimossi.

L’esercito israeliano ha affermato in un comunicato che stava operando all’interno dell’ospedale “a seguito di precedenti informazioni di intelligence sulla presenza di militanti, infrastrutture e attività terroristiche presso la struttura”. La stessa giustificazione ufficiale addotta per tutti gli altri ospedali distrutti in precedenza a Gaza. Per 15 mesi, le strutture sanitarie della Striscia sono state trasformate in teatri di guerra. Le forniture mediche sono state bloccate alle frontiere, i più elementari farmaci salvavita vengono trattenuti.

La deliberata distruzione delle strutture ospedaliere della Striscia è stata condannata da un’inchiesta dell’Onu, secondo la quale “Israele ha perpetrato una politica concertata volta a distruggere il sistema sanitario […] come parte di una più ampia aggressione a Gaza, commettendo crimini di guerra e crimini di sterminio contro l’umanità con attacchi deliberati e continui al personale medico ed alle strutture sanitarie”.

A seguito dello sgombero dell’ospedale Kamal Adwan, diversi membri del personale sono stati arrestati, fra cui il direttore della struttura, Hussam Abu Safiya, che nei giorni precedenti aveva profuso ogni sforzo per chiedere aiuto all’opinione pubblica internazionale, perfino con un editoriale pubblicato dal New York Times. Accusato di essere legato a Hamas, Abu Safiya sarebbe stato rinchiuso nel famigerato campo di detenzione di Sde Teiman nel deserto del Negev dove, secondo diverse inchieste e denunce, i prigionieri palestinesi vengono sottoposti a spaventosi maltrattamenti e torture.

L’assalto all’ospedale Kamal Adwan ha suscitato un’ulteriore dura condanna da parte dei massimi esperti Onu in materia di diritti umani, nella quale sono dettagliati a carico di Israele innumerevoli crimini contro l’umanità commessi a Gaza, quali omicidi, torture, violenze sessuali, deportazioni forzate, attacchi indiscriminati contro infrastrutture civili indispensabili alla sopravvivenza della popolazione, attacchi mirati contro giornalisti e operatori umanitari, restrizioni all’ingresso degli aiuti, l’uso della fame come arma di guerra.

C’è grande preoccupazione per le sorti di Abu Safiya, visto che altro personale medico in precedenza è stato sottoposto ad abusi e torture nei centri di detenzione israeliani, ed alcuni hanno perso la vita.
Appelli e denunce finora non hanno in alcun modo ostacolato la violentissima campagna di pulizia etnica che Israele sta conducendo ormai da quasi tre mesi a Gaza nord.

Gran parte dell’area che include gli insediamenti di Beit Hanoun, Jabalia e Beit Lahiya è stata spopolata e rasa al suolo, lasciando presagire che Israele intenda trasformarla in una zona cuscinetto chiusa ai palestinesi anche a guerra finita. I residenti di quest’area sono stati privati di cibo e acqua, e sottoposti a incessanti bombardamenti da terra e dal cielo. I terrificanti quadricotteri (piccoli droni killer) decimano la popolazione civile.

All’inizio dell’offensiva, a Gaza nord vi erano ancora 400.000 residenti. Secondo gli ultimi dati dell’UNRWA (l’Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi), ne sono rimasti appena 10-15.000. Gli altri sono stati costretti a fuggire verso sud.

Nell’anno appena trascorso si sono accumulati i rapporti, redatti dall’Onu, e da organizzazioni come Amnesty International, Human Rights Watch, e Médecins Sans Frontières (MSF), secondo i quali ciò che Israele sta compiendo nella Striscia va classificato come “genocidio”. Essi si aggiungono al verdetto provvisorio della Corte Internazionale di Giustizia, risalente allo scorso gennaio, che definiva “plausibile” l’accusa di genocidio mossa dal Sudafrica nei confronti di Israele. Da allora le condizioni a Gaza sono spaventosamente peggiorate.

Secondo MSF, Israele sta intenzionalmente “distruggendo il tessuto sociale” della Striscia. Le continue evacuazioni forzate hanno obbligato gli abitanti di Gaza a vivere “in condizioni insopportabili”, stipati in tende di fortuna fatte con materiali di scarto, senza cibo né acqua, in situazioni igieniche terribili.

Ma l’aspetto forse più inquietante è che queste denunce ampiamente documentate non hanno sortito alcun effetto a livello internazionale. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu è paralizzato dai veti americani, i governi europei salvo rare eccezioni tacciono, come il resto della comunità internazionale. Secondo una recente inchiesta, i ministri degli esteri dell’Unione Europea hanno perfino respinto un rapporto redatto dal rappresentante speciale dell’UE per i diritti umani, Olof Skoog, che invitava i paesi membri a sospendere le esportazioni di armi verso Israele sulla base delle crescenti prove di crimini di guerra commessi dalle forze armate israeliane.

Qualora la Corte Penale Internazionale dovesse condannare Israele, i paesi europei che continuano ad inviare armi a Tel Aviv potrebbero essere accusati di complicità in tali crimini. Ma intanto, di fronte all’enormità di ciò che sta accadendo, l’Occidente che fino all’altro ieri si vantava di difendere i diritti umani, la dignità dell’uomo, le libertà fondamentali, tace. Le opinioni pubbliche occidentali sono intorpidite, indifferenti, male informate.

I loro governi sono addirittura complici. L’Occidente sta calpestando quel diritto internazionale che ha sempre preteso di rappresentare e difendere.

*Autore del libro “Il 7 ottobre tra verità e propaganda. L’attacco di Hamas e i punti oscuri della narrazione israeliana” (2024).
Twitter: @riannuzziGPC
https://robertoiannuzzi.substack.com/

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