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Декабрь
2024

Un filo unisce Ivrea e Urbino: «Raccontare male la storia della Olivetti è come imbrattare un monumento»

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IVREA. C’è un «ponte» tra Ivrea e Urbino: si chiama Paolo Volponi. La definizione è di Marco Peroni, intellettuale eporediese, che ne ha parlato davanti a 800 studenti di quinta superiore in cerca di ispirazione. I ragazzi hanno ascoltato le parole del “Memoriale” dello scrittore nato a Urbino e vissuto 15 anni a Ivrea tra direzione dei Servizi sociali e del Personale in Olivetti, con il fiato sospeso. Volponi, nel 2024, avrebbe compiuto cent’anni. Un ponte, sì, ma più simile a quei cunicoli spazio-temporali teorizzati nella fisica contemporanea e messi in pratica prima dalla letteratura, poi dalle serie televisive cosiddette fantascientifiche, che potremo persino chiamare ultrascientifiche, a questo punto.

Ispirare per scegliere

L’occasione è l’evento Ispirare per scegliere, che si è tenuto nell’aula magna del magistero intitolata proprio a Volponi dell’Università degli Studi Carlo Bo. I quattro ispiratori erano l’attore, drammaturgo e giullare Matthias Martelli; la mental coach Giorgia Righi; il virologo, immunologo e divulgatore scientifico Roberto Burioni e l’astrofisica Marica Branchesi. A Peroni, invece, tocca il ruolo di storico, di intrecciatore di fili, tra le vite di Adriano Olivetti e PaoloVolponi.

«A invitarmi – spiega Peroni – è stato il presidente del Club Unesco di Urbino del Montefeltro Alberto Bruscoli, amministratore delegato dell’Imab di Fermignano, un gruppo che produce mobili e arredo. Lui aveva visto lo spettacolo delle Voci del Tempo (dove Peroni si esibisce insieme a Mario Congiu, ndr) di dieci anni fa e si è ricordato di noi».

Il rovescio dell’Unesco

C’è dunque un altro cunicolo spaziotemporale che da Ivrea conduce a Urbino. È il riconoscimento Unesco. Questa volta, però, è come attraversare uno specchio. «Confrontandoci – spiega Peroni – è venuto fuori che Ivrea e Urbino sono uno il contrario dell’altra, nel rapporto tra la città e la possibilità di essere un bene Unesco. Più o meno sono realtà della stessa misura, paragonabili. Tuttavia Urbino ha 17mila abitanti e 21mila studenti. Quindi è un borgo medievale perfetto, meraviglioso, curatissimo, e il rischio di un posto così, spesso, è quello di diventare un museo, una sorta di roba da immaginetta turistica, ma lì dentro ci sono 21mila studenti che vivono e da cui loro prendono tutto il bene e tutta la vivacità».

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Inoltre c’è da considerare il tipo di patrimonio. «Hanno un patrimonio così materiale che diventa difficile da raccontare: si possono inventare nuovi linguaggi, ma è storico-culturale, è quella cosa lì. Mentre noi, qui, abbiamo una città come una popolazione che invecchia, ma un patrimonio per lo più immateriale. È vero, ci sono le architetture, ma il valore del nostro patrimonio viene dalle idee che lo hanno generato. E in più, non abbiamo tutti quegli studenti che rendono vitale la città. Lo scopo del nostro patrimonio, inoltre, è tornare ad essere produttivo, come peraltro già si sta facendo. Quindi quella storia deve parlare anche ad altri imprenditori. È difficile da raccontare, perché il suo valore è prettamente immateriale. Quindi se non lo racconti bene, il patrimonio decade esattamente come se imbrattassi di viola un monumento. Io almeno la penso così».

Quindi Ivrea non ha l’iniezione dopante dei 21mila studenti e nemmeno un patrimonio storico culturale di una bellezza definita e mozzafiato da ammirare. «Abbiamo però – prosegue Peroni – una storia che ha un carisma incredibile. E l’ho percepito notando il silenzio e l’attenzione con cui la ascoltavano quegli 800 studenti di Urbino, mentre leggevo una pagina del Memoriale di Volponi».

L’intellettuale nella filiera

Volponi, come racconta Peroni agli studenti di Urbino, scrisse il suo Memoriale mentre era direttore dei Servizi sociali. È un libro fortemente critico contro la vita in fabbrica, contro la produzione in serie e la catena di montaggio, tantoché l’operaio rivedrà nel pezzo che produce il colore del “suo” lago di Candia, per umanizzarlo. Volponi esercita la critica e continua a mantenere lo stesso ruolo in fabbrica. Dice Peroni: «Senza schizofrenia, esercita anche la critica intellettuale come scrittore, sempre da dentro la fabbrica. Scrivere come riformare, non come storytelling, non come cantore dell’esistente, ma come uomo libero. Non sarebbe stato possibile in nessun’altra grande azienda. È un valore, un segnale, una libertà (quella che si è preso, quella che gli è stato riconosciuta) da ereditare».

Grazie a Volponi saranno sperimentate le isole produttive all’interno della Olivetti. «Volponi – racconta Peroni – manda in America giovani collaboratori fra cui Federico Butera, a studiare l’organizzazione del lavoro nella realtà più evolute, e questi al ritorno propone l’organizzazione per isole produttive, in cui gli operai a gruppi producono in ogni isola il pezzo completo. Butera dice: “Le ho proposte e realizzate io, ma senza lo spazio di sperimentazione voluto da Volponi non sarebbe stato possibile”».