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Ivrea, il nuovo vescovo Salera: «Ascoltare, leggere i segni e capire cosa il Signore chiede alla comunità a e a me»

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IVREA. Monsignor Daniele Salera, 54 anni, è il nuovo vescovo di Ivrea. Si insedierà ufficialmente in diocesi il prossimo 15 febbraio. La comunicazione della scelta di Papa Francesco sul nome del sessantanovesimo vescovo di Ivrea è avvenuta formalmente lunedì scorso, 16 dicembre. A mezzogiorno, in contemporanea alla Santa Sede, a Roma, e a Ivrea, dove in cattedrale la nomina è stata comunicata al clero dal vescovo Edoardo Cerrato, che per 12 anni ha guidato la diocesi, prima di rimettere l’incarico nelle mani del Papa al compimento dei 75 anni. Fino all’insediamento ufficiale del vescovo Daniele Salera, il vescovo Cerreto resterà amministratore apostolico. Monsignor Daniele Salera è vescovo ausiliare di Roma dal 2022. Ordinato sacerdote nel 2002, laureato in sociologia all’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito la licenza in Teologia Spirituale e corso di Scienze della formazione per formatori all’Istituto superiore per formatori (Isfo), affiliato alla Pontificia Università Gregoriana di Roma. Lunga e articolata l’esperienza in parrocchie e gruppi.

Monsignor Salera, ci racconta il momento in cui ha ricevuto la nomina a vescovo di Ivrea e quali sono state le sue prime emozioni?

«Sono stato convocato dal Nunzio mentre ero a Trento con un gruppo di giovani capi dell’Agesci, per una settimana di formazione; erano capi provenienti da tutta Italia e tra questi vi era anche una giovane capo di Ivrea. In quei giorni dovevo tenere delle relazioni/meditazioni ai ragazzi e dunque ho viaggiato di notte per arrivare al colloquio con il Nunzio e non far mancare la mia presenza al campo. Ho accolto con gioia la richiesta del Santo Padre perché nel mio cuore desideravo vivere il mio ministero al Nord. Se non fosse stato in questi anni, certamente desideravo tornare in montagna per gli ultimi anni della mia vita. Ho un legame affettivo molto forte con le Alpi: quando mi trovo sui pendii alpini, sperimento una sorta di rigenerazione interiore. Anche per gli esercizi spirituali, normalmente ho prediletto località montane come Camaldoli e le foreste del Casentino (in provincia di Arezzo, ndr). Si tratta certamente di un moto impulsivo, aver cura di una Diocesi è ben altro e la comprensione di questo “altro” sarà il primo lavoro da vivere ad Ivrea, ma rispetto alla sua domanda mi sembra di poter condividere questo: ho sentito istintivamente che un mio desiderio era stato ascoltato ed esaudito».

Come ha influenzato la sua formazione nello scoutismo il suo approccio al ministero sacerdotale e ora episcopale?

«Lo scoutismo mi ha dato moltissimo: mi ha permesso di vincere la timidezza, di credere nella forza dell’amicizia, di incontrare Dio nella bellezza del creato e nella vita comunitaria, di constatare che la Provvidenza esiste (proprio perché lo si vive in condizioni di maggiore precarietà collocando spesso le attività all’aria aperta). Più esattamente rispetto al sacerdozio e all’episcopato, lo scoutismo ha educato il mio approccio alla vita: “in cammino”. Sono “naturalmente” disposto ad essere in cammino, non solo fisicamente ma anche mentalmente ed affettivamente, a non arrendermi, a non fermarmi, a non abbattermi, anche quando il cammino è in salita, è sotto il sole, non si hanno i generi di prima necessità. Infine lo scoutismo mi ha educato a camminare insieme».

Quale sarà il suo messaggio per i giovani della diocesi e come intende coinvolgerli più attivamente nella vita della Chiesa?

«Penso abbiate potuto vedere un video che è girato molto in rete, poco dopo l’alluvione in Romagna di qualche settimana fa. In quel video un anziano signore ringraziava con parole bellissime e centrate un gruppo di giovani che lo aveva aiutato a togliere il fango dalla sua casa ridandogli speranza e consolazione. I giovani hanno un’energia forte e profonda, che spesso è repressa o ammalata da un contesto come il nostro che li mortifica. Io vorrei aiutarli a difendere il loro diritto ad una vita piena, vorrei custodire la loro gioia (2 Cor 1,24).»

Nella sua lunga esperienza, tra incarichi parrocchiali e ruoli formativi, quale lezione ritiene più preziosa da portare nella sua nuova missione a Ivrea?

«Ascoltare, leggere i segni, capire cosa il Signore chiederà alla comunità diocesana e a me».

Essendo cresciuto e formato nella diocesi di Roma, come immagina il passaggio a una realtà diocesana più periferica come Ivrea, ma dalla lunga tradizione di attenzione alle questioni sociali, anche legata al nome e all’attività episcopale di monsignor Bettazzi?

«Le tradizioni – quando sono sane e vivificanti – nutrono i contesti, le persone e le culture. Roma mi ha abituato a non averne tantissime; in una città come Roma si riesce a vivere solo se si è molto malleabili, se ci si adatta. So che non sarà così d’ora in poi, so che dovrò conoscere le tradizioni e la storia di questo popolo, di questa Diocesi, per poi capire – come dicevo poc’anzi in altro modo – dove si trova acqua che zampilla e dove no. Più nel dettaglio direi che non c’è un ambito a cui dedicherò particolare attenzione a prescindere da quelli che saranno i segni dei tempi e dei luoghi».

Ha citato il Giubileo come "tempo propizio". Quali iniziative pastorali intende promuovere in diocesi per vivere appieno questo evento?

«Anzitutto vorrò conoscere quali iniziative sono state già messe in programma dalla Diocesi, vorrei inoltre che fosse a tutti noto il potenziale benefico che l’anno giubilare offre alla vita ogni uomo; detto ciò, mi piacerebbe – in occasione del pellegrinaggio a Roma – far conoscere ciò che di prezioso e spesso non conosciuto c’è nella città eterna».

Qual è il messaggio che desidera rivolgere ai fedeli della diocesi in questo momento di inizio del suo ministero?

«Penso di aver espresso i miei pensieri e sentimenti nella “Lettera di saluto”. Li sintetizzerei così: sono felice di poter donare a voi la mia vita e il mio ministero, chiediamo insieme anzitutto il dono della comunione, preoccupiamoci del futuro della nostra Chiesa locale e della popolazione dei nostri territori».

Ci può lasciare con una riflessione personale o una preghiera per il Natale imminente e per il nuovo anno?

«Nel pensare agli auguri di Natale (prima di sapere della nomina ad Ivrea), sono stato molto coinvolto dalle notizie che arrivavano dai territori in guerra, dalle migliaia di bambini che hanno perso la vita, così ho cercato parole che mettessero in connessione la tragedia della guerra (e la disperazione che ne consegue) con la consolazione del Natale: le ho trovate in un componimento di Dietrich Bonhoeffer, pastore della Chiesa Luterana ucciso nel campo di concentramento di Flossenbürg per essersi opposto al nazismo. Le ha scritte durante la sua detenzione, le condivido con voi, augurando a tutti un Felice Natale e un sereno Anno Nuovo: La mangiatoia splende luminosa e chiara, la notte porta una luce nuova, la tenebra non deve entrare, la fede resta sempre nella luce. Sì, la tenebra non deve entrare, noi vogliamo tenere accesa la Luce!»