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Qatargate, pure la giudice Dejaiffe verso l’addio all’indagine sulle presunte mazzette Ue

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L’inchiesta sul Qatargate perde un altro pezzo. La giudice Aurélie Dejaiffe, responsabile delle indagini preliminari sul caso della presunta corruzione al Parlamento Ue, nelle prossime settimane lascerà l’incarico. Dalla fine di gennaio, infatti, la magistrata entrerà a far parte della Corte d’Appello del tribunale di Bruxelles. Sin dalle prime battute dell’inchiesta Dejaiffe era titolare del fascicolo sulle mazzette che – secondo l’accusa – sono state pagate da Qatar e Marocco nel cuore delle istituzioni comunitarie. L’indagine era poi passata in mano a Michel Claise, noto giudice istruttore della procura fedelale, costretto tuttavia a fare un passo indietro nel giugno 2023 per un sospetto conflitto d’interessi. L’avvocato di Marc Tarabella, uno dei politici indagati, ha fatto notare come il figlio di Claise fosse socio del figlio di Maria Arena, eurodeputata belga che non è mai finita formalmente sotto inchiesta nonostante il suo nome compaia più volte nelle testimonianze e nelle intercettazioni. A casa del figlio di Arena erano stati trovati 280 mila euro.

In seguito Claise si era candidato alle elezioni politiche in Belgio, senza successo. Il fascicolo era quindi tornato in mano a Dejaiffe, che però a breve passerà nuovamente la mano. Ha già cambiato incarico anche il procuratore Raphael Malagnini, che ha ottenuto il trasferimento a Liegi dove farà il revisore dei conti del lavoro. Anche il portavoce della procura, Eric Van Duyse, sta per concludere il suo mandato. L’ufficio inquirente di Bruxelles, contattato dall’agenzia Ansa, non ha voluto rilasciare alcun commento.

Nata da un’operazione del Vsse, il servizio segreto del Belgio, l’indagine esplode nel dicembre del 2022 e ipotizza un giro di mazzette pagate da Paesi come Qatar e Marocco per influenzare le scelte dell’Europarlamento. Secondo gli investigatori, al centro di questo meccanismo corruttivo c’era Pier Antonio Panzeri, ex eurodeputato del Pd poi passato ad Articolo 1: in casa gli trovano 600 mila euro. Il politico italiano è il primo a finire agli arresti, seguito da Francesco Giorgi, il suo ex assistente parlamentare che è pure compagno di Eva Kaili, all’epoca vicepresidente dell’Eurocamera. Nell’appartamento abitato dai due vengono trovati 150 mila euro, mentre 600 mila sono quelli contenuti in una valigia che Kaili affida a suo padre, insieme ai biberon della figlia. Secondo gli inquirenti la scoperta di questi soldi bastava per contestare a Kaili la flagranza di reato, che fa cadere l’immunità parlamentare. Per gli avvocati della politica greca, però, le cose sono andate diversamente e gli investigatori hanno violato le guarentigie della loro assistita. Le istanze dei legali hanno portato all’apertura di un’udienza davanti alla corte d’Appello di Bruxelles, che consente ai difensori delle persone sotto accusa (nel frattempo tutte tornate in libertà) di presentare memorie sulla condotta delle indagini.

Da quel momento l’indagine si è impantanata in un iter che prevede una sorta di riesame davanti alla Corte d’Appello dei metodi investigativi seguiti dall’intelligence belga. Nel frattempo le persone rimangono sotto inchiesta – seppur senza un preciso capo d’imputazione – e i beni sequestrati ancora sotto il sigillo degli investigatori. Il 7 gennaio è fissata una nuova udienza a porte chiuse: ma secondo la procura belga si tratterà solo di “un aggiornamento”. L’ultima novità nell’inchiesta risale al marzo scorso, quando era stata diffusa una registrazione clandestina realizzata da Giorgi mentre si trovava ancora ai domiciliari. “Non crediamo a niente di quello che dice Panzeri. Sappiamo benissimo che ci prende in giro. Ma esploderà tutto”, diceva l’ispettore capo Ceferino Alvarez-Rodriguez, definendo il sistema giudiziario belga come “mosso dai fili della politica“. Le parole dell’investigatore hanno gettato discredito anche sulle dichiarazioni messe a verbale da Panzeri, che ha collaborato con la magistratura in cambio di un forte sconto di pena.

Eventuali vizi di procedura e opinioni delle forze dell’ordine, però, non possono cancellare l’esistenza degli elementi raccolti. A cominciare, appunto, dai contanti trovati in casa di alcuni degli indagati: in totale si parla di un milione e 350 mila euro in banconote di vario taglio. La maggior parte erano di Panzeri, che secondo Kaili aveva il vizio di lasciare denaro nella casa abitata da lei e da Giorgi. Per quale motivo? “Penso che sia a causa della mia immunità”, ha risposto l’ex europarlamentare durante uno degli interrogatori. Tornata libera nel maggio dell’anno scorso dopo quattro mesi di carcere e domiciliari, Kaili si è sempre dichiarata innocente, a differenza di Panzeri. “L’origine di tutto è stata dopo il 2019, l’accordo prevedeva che avremmo lavorato per evitare delle risoluzioni contro i Paesi e in cambio avremmo ricevuto 50 mila euro, questo accordo è stato passato al Marocco e in un certo senso è continuato tramite l’ambasciatore attuale che è a Varsavia”, è una delle ammissioni messe a verbale dal politico italiano. I suoi legali avevano sostenuto come queste dichiarazioni fossero state estorte, ma poi hanno siglato l’accordo di collaborazione con la giustizia belga.

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