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L’Unione europea migliora lentamente sulla parità di genere. L’Italia ultima sul lavoro (da 13 anni)

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La parità di genere continua ad avanzare lentamente in Europa. Martedì 10 dicembre, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (EIGE) ha pubblicato il report Gender Equality Index del 2024, istituito 11 anni fa. L’indice è una sintesi di varie rilevazioni statistiche europee e valuta la “qualità” della parità tra uomo e donna nelle società dei 27 Stati membri Ue con un punteggio in centesimi. Tutto si basa su sette assi tematici: lavoro, economia, conoscenza, potere, salute e, dall’anno scorso, il tempo di cura. Con l’aggiunta, non da ultimo, della violenza di genere. Nel 2024 l’Ue ha raggiunto un punteggio complessivo di 71 su 100, in crescita di 0.8 punti rispetto al 2023. Un progresso che appare incoraggiante ma che nasconde, nei dettagli, una lentezza strutturale: la crescita media annua è ben lontana dai livelli necessari per trasformare la visione di una “Unione dell’uguaglianza” proposta dalla presidente della Commissione Ursula Von der Leyen in realtà. I dati evidenziano disparità significative tra i Paesi membri: la Svezia rimane il Paese leader con 82 punti, seguita da Danimarca e Paesi Bassi (entrambi a 78.8 punti). All’opposto, Romania (57.5 punti), Ungheria (57.8 punti) e Grecia (59.3 punti) chiudono la classifica, evidenziando come il divario tra i Paesi più virtuosi e quelli in ritardo resti marcato.

Dal report emerge che l’Italia, pur con un punteggio complessivo inferiore alla media Ue (69.2 punti), si distingue per il maggiore progresso dal 2010 ad oggi, con un aumento di 15.9 punti. Questo risultato colloca l’Italia nel gruppo dei Paesi in “catching up”, ovvero quelli che stanno recuperando terreno rispetto alla media europea. Tuttavia, i dati italiani offrono una fotografia a tinte contrastanti: se da un lato si registrano progressi significativi nel tema del potere, dall’altro permangono difficoltà strutturali nel lavoro e nell’economia. Nel mondo del lavoro, l’Italia si trova in fondo alla classifica con 65.5 punti. Nonostante un lieve miglioramento, il Paese fatica a colmare le disparità di genere nell’occupazione, soprattutto a tempo pieno, posizionandosi all’ultimo posto per questa area. Le donne continuano ad affrontare ostacoli nella partecipazione al mercato del lavoro, aggravati da dettami sociali che le relegano a ruoli tradizionali e da una “segregazione settoriale” che le vede maggiormente presenti in settori meno remunerativi come quello inerente alla cura e dell’istruzione. Questo contribuisce anche al gap salariale, particolarmente evidente tra coppie con figli, dove le responsabilità di cura incidono negativamente sulle carriere femminili.

Un quadro più incoraggiante arriva sul tema del potere, l’Italia ha registrato uno dei maggiori miglioramenti grazie a un aumento della rappresentanza femminile sia in politica che nei consigli di amministrazione. Ciò è dovuto alla normativa che prevede quote obbligatorie (la legge Golfo-Mosca del 2011) che hanno favorito una maggiore presenza di donne in ruoli decisionali. Tuttavia, il report sottolinea, la strada è ancora lunga per raggiungere i livelli dei Paesi nordici, dove la parità di genere nei ruoli di potere è ormai consolidata. Per quanto riguarda la retribuzione viene evidenziata una crescita moderata per l’Italia, ma permangono disuguaglianze marcate. La divisione diseguale del lavoro di cura non retribuito, unitamente alla segregazione occupazionale, continua a limitare le opportunità economiche delle donne. In questo ambito, il divario tra i Paesi è meno evidente rispetto ad altre aree, ma resta evidente il ritardo dell’Europa dell’Est rispetto ai Paesi occidentali.

Un elemento che spicca nel documento è la violenza di genere, che risulta trasversale a tutte le aree. Questo fenomeno rappresenta un ostacolo significativo alla piena partecipazione delle donne in ogni aspetto della società, dal lavoro alla politica. In Italia, circa una donna su tre ha subito violenza fisica o sessuale almeno una volta nella vita, mentre più del 30% delle donne dichiara di aver affrontato violenze psicologiche o economiche in relazioni di coppia. Inoltre, la violenza economica è particolarmente diffusa, limitando l’accesso delle donne alle risorse finanziarie e rendendole più vulnerabili a ulteriori abusi. Nel settore lavorativo, le donne affrontano rischi elevati di violenza e molestie, con una maggiore prevalenza nei settori tradizionalmente dominati da uomini e anche in quelli prevalentemente femminili, come la sanità, dove il 30% delle operatrici ha riportato episodi di abuso verbale o fisico durante la pandemia. La paura di molestie sul lavoro rappresenta una barriera per molte donne, contribuendo a perpetuare la segregazione occupazionale e il divario retributivo. A livello istituzionale, le richieste di aiuto ai centri antiviolenza in Italia sono aumentate dell’88% negli ultimi anni, evidenziando sia una maggiore consapevolezza sia la persistente necessità di interventi strutturali.

Nel complesso, l’Italia risulta aver intrapreso una strada finalizzata a eliminare le diverse diseguaglianze, nonostante le criticità sul tema del lavoro. Infatti, ancora da 13 anni è all’ultimo posto per la parità di genere sul lavoro. Anche l’indice relativo alle “prospettive di carriera”, che misura lo status contrattuale, le possibilità di avanzamento e la percezione della stabilità lavorativa, evidenzia le difficoltà italiane: con un punteggio di 59, il paese supera solo la Grecia (51 punti). La direttrice dell’Eige, Carlien Scheele, ha ribadito l’importanza di investire nella parità di genere: “I Paesi devono comprendere che la parità produce ricchezza. Appianare le differenze non è solo una questione ideologica, ma economica”.

L'articolo L’Unione europea migliora lentamente sulla parità di genere. L’Italia ultima sul lavoro (da 13 anni) proviene da Il Fatto Quotidiano.