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Katana Koala Kiwi, la band triestina sforna il nuovo album

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TRIESTE «Talvolta taglienti come la pietra carsica, altre dolci come il liquore Terrano»: la band triestina Katana Koala Kiwi tiene molto alle sue origini e lo esplicita nella nota di presentazione dell’album di debutto “Per farmi coraggio mi sono buttato dal piano terra”, fuori ora con distribuzione Believe. I componenti Alessandro Fulvio alla chitarra e voce, Pietro Giannini alla chitarra, Gilberto Tomasella al basso e voce, Lorenzo Avanzini alla batteria, Andrea Basso alla chitarra e voce. Suoneranno stasera alle 20 in piazzale Europa nell’ambito di “Made 4 U”.

Alessandro, come nasce questo nome bizzarro, Katana Koala Kiwi?

«Un po’ per gioco, come accostamento quasi casuale di tre parole. Ha preso poi un significato più profondo: volevamo riappropriarci della sigla, immaginando che un giorno, digitando su Google le tre k, potessimo uscire noi con la nostra musica e non solo la famigerata organizzazione segreta portatrice di odio e razzismo».

Anche il titolo dell’album è curioso.

«In parte autobiografico, legato a dei momenti difficili di crescita, quei piccoli drammi legati alla sensibilità».

Da quando suonate assieme?

«Dal 2022 siamo con questa formazione, io e Andrea suonavamo prima in un progetto in inglese, poi si sono aggiunti gli altri».

Che rapporto avete con la vostra città?

«Siamo molto legati a Trieste. Le radici hanno un peso nella produzione musicale di qualità, vediamo l’esempio dell’utilizzo del dialetto per Massimo Silverio con il carnico, Daniela Pes con il sardo (per noi gli artisti più interessanti della scena italiana nell’ultimo anno), o a livello internazionale i Fontaines D.C. così legati a Dublino. La nostra è una città piena di contraddizioni, che ci ha cresciuto, a volte ci ha schiaffeggiato, altre consolato, però sicuramente fa parte di noi».

Fare musica qui…?

«Non è semplice. Molti dei locali storici hanno chiuso con la pandemia o già prima (da adolescente frequentavo il Tetris dove avevo visto gruppi come i Gazebo Penguins, che mi hanno influenzato). Mi piacerebbe che Trieste si desse un po’ una smossa, quando avevo sedici anni c’erano tanti gruppi che mi hanno passato la fiamma e c’era maggior collaborazione. Adesso, al di là di progetti come Caspio, Kalpa, Ribaltavapori, Sesto, Corpi Contundenti… i giovani mi sembrano più slegati, poco propensi a creare una scena, rivoluzionare».

La soluzione?

«Lamentarsi meno e fare fronte comune, condividere, supportare gli altri. Bisogna connettersi, lo dico anche ai ragazzi a scuola (insegno all’Oberdan), da soli non si va da nessuna parte. È una città assopita, però con una grande tradizione di musica dal vivo, e centro mitteleuropeo dove le diverse culture s’incontrano».

Applicate a generi internazionali (post rock, noise, math rock) la lingua nostrana. Come mai?

«L’italiano è arrivato per necessità espressiva. Dopo i primi ascolti esteri, sono passato ad esplorare il catalogo della Tempesta Dischi, Le Luci, poi a ritroso Afterhours, Verdena, Marlene Kuntz. E sono sempre stato un grande lettore di poesie, la nostra lingua ha sfumature incredibili, dà grandi possibilità».

Prossime?

«Suonare il più possibile. E speriamo di partecipare al Miela Music Contest a cui ci siamo iscritti. Il live è la nostra dimensione». —

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