Tremonti: “Torna l’eterna questione dei confini, ma è inutile colpevolizzare i populismi. Vanno studiati”
C’è un filo rosso che lega gli eventi in Siria e quelli in Romania. Ed è quella che Giulio Tremonti, intervistato dal Corriere della Sera, definisce “l’eterna questione dei confini, tornata alla ribalta dopo la crisi della globalizzazione”. Confini che si creano o si disfano con le armi, come in Siria, o attraverso la rete, come in Romania, che limita il potere degli Stati, già in crisi per “una cessione di sovranità verso l’alto – l’Unione europea – e di lato, verso il mercato e le dinamiche comunicative non controllabili”.
Tremonti: Siria e Romania sono le facce della stessa medaglia
“La Siria ci fa fare un salto indietro nel passato, la Romania nel futuro. Ma sono due facce della stessa medaglia”, dice l’ex ministro, oggi presidente della commissione Esteri della Camera, che si occupa di questi temi dagli anni 80. Per comprendere la Siria Tremonti parte dal Trattato di Versailles, dalla dissoluzione dell’Impero ottomano, cui seguì “una sorta di colonizzazione moderna sotto forma di mandati. Per mantenere sfere di potere e di interesse economico, quell’area enorme fu divisa in confini che spesso non avevano logica e identità. E tutto oggi ci riporta a quello che era il cuore dell’impero, la Turchia. A 100 anni fa”. Per Tremonti c’è dunque un ruolo della Turchia nell’abbattimento del regime di Assad.
La regia dell’abbattimento di Assa è della Turchia
“L’origine di questa operazione sembra venga dalla Turchia, dopo che sono iniziate le rivoluzioni arabe sull’onda di Google. Libia, Iraq, Siria, anche Libano in qualche modo sono Paesi che hanno vissuto questi fenomeni. Credo di avere il copyright del detto “la democrazia non è un McDonald: non si esporta””, continua Tremonti. “Stanno tornando i confini ottomani. La regia geopolitica è turca e sì, il consolidamento potrebbe essere positivo: meglio la Turchia che l’anarchia”. E il nesso con la Romania è legato alla crisi delle democrazie che l’ex ministro lega allo spartiacque rappresentato dalla caduta del muro di Berlino, “il 1989 è stato è stato l’avvio di una rivoluzione che avrebbe svuotato i Parlamenti. Un fenomeno di devoluzione dei poteri degli Stati, verso l’alto all’Europa, e di lato verso il mercato, perché si spezzava la catena Stato-territorio-ricchezza”.
Bisogna capire la realtà, ma i populismi non vanno demonizzati
“L’origine dei problemi – aggiunge – non era più necessariamente all’interno del proprio Stato, ma al di fuori. Immigrazione, finanza, macchine che rubano il lavoro. E la globalizzazione. Però le democrazie non sono morte. C’è ancora chi va a votare, ma è la realtà che è cambiata, e non è colpa dei populismi, che non vanno demonizzati ma studiati, capiti, per agire”. Anche a Bucarest il tema è quello dei confini. “La Rete ne è un aspetto. In Romania c’è stato un attacco alla struttura politica dello Stato che è arrivato dall’esterno, dalla Rete, e io credo che sia stato giusto annullare le elezioni. La realtà ci pone di fronte a grandi sfide, ma sono risolvibili”. La ricetta è quella di comprendere le dinamiche, capire quello che succede, senza confondere effetto e causa. “Servono grandi idee. Io nel 2003 chiedo eurobond anche per le infrastrutture e l’industria militare, ora ci stiamo arrivando. Se vai in un bar a parlare di competitività non ti capiscono. Se parli di difesa comune e di politica estera comune sì. Non basta più il mercato, il mondo è sempre più ampio. E va affrontata la realtà per come è oggi, non con le categorie dell’800 e del ‘900”.
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