La maxi-evasione fiscale da 887 milioni di euro contestata a Meta
Le indagini sono andate avanti per quasi due anni e adesso sono arrivate alla loro conclusione. C’è una presunta evasione fiscale contestata a Meta per un valore di 877 milioni di euro (7 milioni di euro in più rispetto alla richiesta iniziale della procura di Milano, nella persona di Giovanna Cavalleri, Giovanni Polizzi e Cristian Barilli). Il tutto si basa su un principio che – come abbiamo avuto modo di dire già all’epoca della prima ipotesi di reato – potrebbe in qualche modo sovvertire l’ecosistema dei dati personali applicati alle piattaforme di social networking come Instagram e come Facebook. Gli 877 milioni di euro, infatti, sarebbero una evasione dell’IVA non relativa a una transazione economica, ma alla gestione dei dati personali degli utenti che – nell’interpretazione della procura – vengono visti come un bene tassabile.
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Evasione fiscale di Meta, le basi da cui sono partite le indagini arrivate a chiusura
Come avremo modo di analizzare in un altro articolo del nostro monografico di oggi, i dati personali sono oggetto – nell’interpretazione della procura – di uno scambio sinallagmatico, quello che (secondo la normativa italiana) avviene non rispetto alle transazioni in denaro, ma in virtù dello scambio di un altro bene. Una interpretazione che, nel tempo, ha portato la stessa Meta a ridimensionare il concetto di “gratuità” che – in qualche modo – era sempre stato proposto ai suoi utenti in chiave marketing. Quel famoso motto “Facebook è gratis e lo sarà sempre” è da tempo stato sostituito nella schermata di apertura del social network più famoso al mondo: la cultura del dato personale, la consapevolezza da parte dell’utente di quello che gli succede costantemente quando naviga su un social network, scrolla nel suo feed, si sofferma su un contenuto, è sicuramente maggiore.
Da qui anche il presupposto di partenza della procura: se i dati personali sono un bene, allora questi devono essere tassati. E la cifra di 877 milioni di euro – come avremo modo di vedere – deriva dall’imposta su un valore di quasi 4 miliardi di euro attribuito proprio ai dati personali scambiati da Meta nel periodo di tempo considerato. Meta, intanto, resta arroccato sulle proprie posizioni: al di là della querelle economica (pure sostanziosa, ma di certo non di vitale importanza per una realtà come quella della grande azienda di Menlo Park), il processo sulla presunta evasione fiscale di Meta rischia di fare giurisprudenza per tutti i siti e le piattaforme che “lavorano” con i dati personali degli utenti.
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