Processo telematico, il Csm: “Software inadatto, si rischia la paralisi”. Ma Nordio tira dritto: dal 1° gennaio scatta l’obbligo nel penale
L’anno scorso il governo ci ha messo una pezza, rinviando il problema al 2025. Ma ormai il 2025 è domani e il processo penale telematico è ancora un cantiere aperto: o meglio un disastro, “sin d’ora idoneo” – senza un nuovo rinvio – “a determinare gravissimi problemi nel funzionamento della giurisdizione, se non la sua paralisi in settori cruciali, già a partire dal prossimo 1° gennaio”. A scriverlo è il Consiglio superiore della magistratura, nel parere – all’ordine del giorno della seduta di mercoledì – sulla bozza di decreto del ministro della Giustizia che detta le regole per il debutto su larga scala della digitalizzazione in Procure e Tribunali. Breve riassunto delle puntate precedenti: la riforma Cartabia ha imposto il deposito telematico degli atti anche nel processo penale (nel civile è già realtà da tempo), previsto inizialmente dal 1° gennaio 2024. A questo scopo il ministero ha sviluppato un software chiamato “App” (applicativo per il processo penale), che però a fine 2023 ha mostrato problemi enormi già nella sperimentazione ed è stato giudicato inutilizzabile. Così il Guardasigilli Carlo Nordio ha spostato di un anno, al 1° gennaio 2025, l’entrata in vigore delle nuove norme. Ma non del tutto: l’obbligo di usare App è rimasto per le procedure di archiviazione, che riguardano il 70% dei procedimenti. Risultato? Anche il fascicolo più semplice, che in cartaceo si poteva smaltire in pochi secondi, adesso obbliga pm e gip a compiere una lunga serie di farraginosi passaggi sulla piattaforma, con un rallentamento grottesco che nei primi mesi dell’anno ha causato un crollo fino al 96% delle archiviazioni, alla faccia dell’efficienza. Il tutto mentre il governo accelera sulla separazione delle carriere, presentata come la chiave per risolvere i problemi della giustizia, e approva norme per limitare intercettazioni e sequestri.
Ora la proroga sta per scadere e Nordio non vuole rimandare ancora: nella bozza di decreto, il Guardasigilli conferma l’obbligo dal 1° gennaio di depositare su App tutti gli atti dell’udienza preliminare e del processo di primo grado, sia che si svolga in rito ordinario sia in giudizio abbreviato, immediato, con patteggiamento o con messa alla prova. Dal 1° aprile, poi, lo stesso obbligo scatterà pure nel rito direttissimo. Ma nel frattempo i problemi della piattaforma non sono stati risolti: anzi, si sono aggravati. A denunciarlo è la Struttura tecnica organizzativa, organo ausiliario del Csm composto da dieci magistrati, in una relazione allegata al parere di palazzo Bachelet e firmata dai pm Roberto Patscot (Napoli) e Alberto Santacatterina (Lecce). Nell’applicativo, si legge, “sono stati riscontrati numerosi e significativi bug e difetti che lo rendono tuttora inidoneo a gestire un settore strategico quale è la giurisdizione penale. App si è rivelato instabile e soggetto a improvvisi e frequenti crash di sistema, oltre che a numerosi fermi programmati. Inoltre l’interazione con il programma Word online”, che dovrebbe consentire di scrivere gli atti direttamente sulla piattaforma, “risulta tuttora problematica, e ha comportato improvvise ed irrimediabili perdite di provvedimenti in via di redazione”. E pure l’attesa nuova versione del software, App 2.0, introdotta da qualche mese, “non solo non ha posto rimedio ai difetti di App 1.0 ma ne ha, se possibile, peggiorato le prestazioni e l’usabilità“, rendendolo “ulteriormente farraginoso anche nell’esecuzione della più semplice delle operazioni”.
Peraltro, sottolinea la relazione, “nessuno dei flussi e dei riti per i quali dal 1° gennaio 2025 sarebbe prevista l’obbligatorietà” del processo telematico “è stato ad oggi oggetto di qualsivoglia sperimentazione negli uffici. Ciò induce a seri motivi di perplessità se si considera che in molti casi si tratta di riti che riguardano imputati sottoposti a misure cautelari“. Insomma, sembra intendere il documento, dal malfunzionamento di App potrebbe dipendere addirittura la libertà delle persone. E nulla induce all’ottimismo, perché “per quasi tutti i flussi ipotizzabili mancano nell’applicativo i relativi modelli” di atto: “i pochi che sono stati caricati (…) presentano spesso gravi imprecisioni giuridiche e terminologiche, risultando peraltro impossibili da modificare”. Ad esempio, su App sono “inesistenti” i flussi relativi al rito abbreviato e al decreto penale di condanna; il pm non può dare il consenso al patteggiamento e il gup non lo può convalidare; non si può chiedere il rito direttissimo per più imputati insieme; il gip non può fissare l’udienza preliminare; e così via. Ancora, le nuove regole impongono di produrre solo in digitale anche quegli atti che vengono depositati nel corso delle udienze. “Una tale previsione”, nota il Csm, “implica la disponibilità, presso tutte le aule giudiziarie“, di pc, tablet o simili: una disponibilità “che, allo stato attuale, assolutamente non sussiste e renderebbe di fatto impossibile lo svolgimento dei giudizi”.
Per effetto di tutto ciò, scrivono i magistrati della Struttura tecnica, il sistema così come concepito “rallenterà e complicherà lo svolgimento dei processi in un momento in cui è massimo lo sforzo per l’abbattimento dell’arretrato in ottica Pnrr”. Per questo il parere del Csm – redatto dai consiglieri Maria Vittoria Marchianò, Marco Bisogni e Roberto Fontana – conclude chiedendo “una diversa regolazione temporale“, cioè un rinvio, dell’entrata in vigore del processo telematico, mantenendo ancora fin quando sarà necessario la “previsione di un doppio binario (analogico e telematico)” per il deposito degli atti. “In ogni caso”, si legge, “il Csm auspica un deciso cambio di passo qualitativo nella gestione del processo penale telematico e ribadisce la piena dsiponibilità a collaborare con il ministero, in un’ottica di reciproco ascolto”. Meno diplomatico Giovanni “Ciccio“ Zaccaro, ex consigliere dell’organo di autogoverno, giudice di Corte d’Appello a Roma e segretario di Area, la maggiore progressista della magistratura: “Leggo con preoccupazione la proposta di delibera” del Consiglio, commenta al fattoquotidiano.it. “La tecnologia deve essere al servizio della giustizia, per renderla più efficace. Ma servono programmazione, investimenti, formazione degli operatori ed assistenza. Su tutto questo, da tempo il ministero latita. Forse, invece che a riformare la magistratura, Nordio dovrebbe preoccuparsi di fare funzionare meglio la macchina della giustizia”.
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