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L’Europa e quella domanda senza risposta: “Chi comanda?”. Semplificare per uscire dalla paralisi

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L’Europa (poco) Unita è una cosa complicata, e lo apprendiamo ogni giorno leggendo qualche notizia nuova sull’esistenza di qualche organismo: Commissione, Parlamento, Consiglio d’Europa, Corte di Giustizia… eccetera; e ognuno con qualche competenza spesso intrecciata con quelle di qualcun altro, quando non in contraddizione. È uno dei già numerosi motivi per cui l’Ue non funziona, questo pullulare di organismi.

E non ho affatto finito, ma ci sono non so quanti enti e uffici sparsi qua e là; tra questi non so a chi venne a mente, anni fa, di sentenziare sulla misura delle ricottine. Chi comanda sulle ricottine eccetera? Una pletorica burocrazia, la cui origine è misteriosa, e la cui attività fa più danno che utile. È vero che manca la capacità politica di spendere i soldi europei; ma è vero anche che i bandi e i moduli europei sono spesso un pastrocchio arduo da interpretare e da compilare.

Secondo me, il primissimo provvedimento dovrebbe essere che l’Europa dia i soldi a chi tocchino, consegnandoli il 2 gennaio e chiedendo il rendiconto il 31 dicembre; e chi ha rubato, finisca al castello d’If come il conte di Montecristo; però, chi non li ha spesi, alla Caienna: tanto, come abbiamo scoperto, anche la Caienna fa parte di questa raffazzonata Europa! Invece la burocrazia europea dà i soldi a chi li ha e li nega a chi non ne ha. È solo un esempio.

In queste e anche peggiori condizioni, l’Europa non può decidere; e, infatti, non decide. Come fa, in mezzo a tutti questi galletti a cantare, l’Europa, ad assumere una qualsiasi iniziativa sulle due guerre ai suoi confini: sul Don e in Terra Santa? E, infatti, non fa niente, l’Europa. Urge una riforma; e le riforme serie sono solo quelle che semplificano le cose quando sono ingarbugliate. Ecco un lavoro utile e pressante per la nuova Commissione.

C’è qualcosa di più intrinseco, da riformare; o, più esattamente, da costruire quasi dal nulla. Ricordiamo come il Manzoni definisce l’unità, nel suo caso quella nazionale italiana: “Una d’arme, di lingua, d’altare, /di memorie, di sangue, di cor”. Era, nel 1821, un programma ambizioso già per l’Italia; ma all’Europa del XXI secolo, di queste sei cose ne mancano attualmente… tutt’e sei; e nessuno fa qualcosa per ottenerle. La lingua… l’Europa è come l’India, che, senza l’Inghilterra, usa l’inglese; l’altare… è molto difficile affermare che l’Europa sia, in senso schiettamente religioso, quindi metafisico, religiosa; sangue… omissis; cuore… francamente non vediamo tracce di un qualsiasi motivo per cui ci si senta moralmente legati tra Portogallo e Lituania, e non solo per la distanza.

Resterebbero le memorie, se non fosse che la cultura ufficiale europea è profondamente antistoricistica come quella del XVIII secolo illuministico, da cui del resto deriva senza passare attraverso tutte le altre filosofie ed esperienze: eppure ne avrebbe di storia da raccontare, l’Europa, e affascinante e mitica proprio perché contraddittoria. La storia, bisogna accettarla per quella che è. E le armi? Per strano che appaia, le armi, cioè delle Forze Armate europee, sono la carenza più facile e più rapida da colmare: basta pagare. Ma qui, da storiografo dilettante quale sono, dovrei spiegare come e per quali circostanze, nella storia, sono nate delle Forze armate di un’entità confederale o federale o di coalizione, o anche di un organismo statale. Per non farla lunga e non turbare gli animi, lascio lavorare l’immaginazione del lettore; e mi contento di far notare che Forze armate non si possono formare nei polverosi uffici di qualche burocrazia di Bruxelles e sedi distaccate.

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