Generazione Pro-Pal: chi sono, cosa fanno e perché odiano? Parola al professor Andrea Molle
La situazione in Palestina e le dinamiche del conflitto israelo-palestinese sono complesse e multifattoriali. È essenziale affrontare queste questioni con una visione critica e informata, evitando semplificazioni e generalizzazioni che possono alimentare ulteriormente l’odio e la divisione. Negli ultimi mesi, poi, le strade e le università sono diventate teatri di accesi scontri e dibattiti a causa della crescente mobilitazione dei gruppi pro-Palestina. Ma chi sono realmente questi gruppi e quali sono le loro radici culturali e politiche? Per rispondere a queste domande, ci siamo avvalsi del contributo del professor Andre Molle, associato associato di Scienze politiche in California che insegna Relazioni internazionali, statistica e teoria dei giochi. Si occupa, inoltre, di modellizzazione e studi quantitativi dei conflitti, soprattutto su base etnica e religiosa. Collabora con il Master in Intelligence and Emerging Technologies presso l’Università di Udine. E’ ricercatore per il think tank italo-svizzero START- InSight. Per il politologo italiano “è fondamentale riconoscere che l’antisemitismo è oggi parte integrante dell’identità di molteplici gruppi, che spaziano dall’estrema destra alla sinistra radicale, fino agli ambienti religiosi estremisti e alle comunità di immigrati”.
Antisemitismo “mascherato”
Il professor Molle afferma: “L’antisemitismo odierno è quasi interamente mascherato da opposizione a Israele, un vero e proprio ‘discorso d’odio’ che include la demonizzazione del suo popolo e dei suoi leader”. Questo fenomeno non è circoscritto a un contesto locale, ma ha una portata globale, come documentato da importanti enti di ricerca come il Pew Research Center e l’American Jewish Committee. Una delle manifestazioni più preoccupanti di questo antisemitismo contemporaneo si trova nelle università, dove si sviluppa una forma di antisemitismo culturale. Secondo il professor Molle, “questo antisemitismo si basa sulla costruzione intellettuale degli ebrei come individui privilegiati, unita all’antisionismo politico tipico di una sinistra terzomondista”. “Questi gruppi, continua Molle, “ancora legati agli archetipi marxisti e stalinisti, tendono a dividere il mondo in categorie semplicistiche: colonizzatori e colonizzati, buoni e cattivi”.
Attraverso questa lente distorta, gli ebrei vengono spesso ritratti come oppressori sia in Occidente che in Medio Oriente, rendendoli collettivamente responsabili delle difficoltà globali. “Questa narrazione normalizza e rende accettabile l’antisemitismo”, avverte il professor Molle, sottolineando come l’antisemitismo si mascheri da antisionismo, legittimato da decenni di presunta ricerca storica e sociologica. Le università, che dovrebbero essere luoghi di apprendimento e confronto, si sono trasformate in “laboratori ideologici” e “scuole di attivismo politico”. “Ci troviamo di fronte a un sistema dove i docenti fanno politica, invece di insegnare“, afferma ancora l’esperto. Gli studenti, a loro volta, si lasciano indottrinare, poiché il mondo accademico premia il conformismo piuttosto che il pensiero critico. L’antisemitismo contemporaneo, mascherato da antisionismo e alimentato da narrazioni ideologiche, trova terreno fertile nelle università e nelle strade, richiedendo una riflessione urgente e profonda su come affrontare questa problematica allarmante.
L’antisemitismo e le dinamiche universitarie: un’analisi critica
L’antisemitismo contemporaneo si nutre di una serie di fattori complessi, e il contesto universitario rappresenta un terreno fertile per la sua diffusione. Come sottolineato ancora da Molle, il corpo docente gioca un ruolo cruciale nel plasmare le ideologie degli studenti, spesso promuovendo una visione distorta della realtà in cui gli ebrei sono visti come oppressori. “Questo fenomeno non è solo un problema locale”, dice Molle, “ma è alimentato anche da attori esterni, come Hamas e l’Iran, che hanno un interesse diretto nel fomentare il conflitto e destabilizzare le società occidentali”.
I fomentatori
Gli attori che sostengono i movimenti pro-Palestina, come il Qatar e la Turchia, finanziano molte delle organizzazioni che operano nelle università, contribuendo alla diffusione di messaggi antisemiti mascherati da critiche alla politica israeliana. “Negli Stati Uniti”, sottolinea il politologo, “il gruppo “Students for Justice in Palestine” è un esempio di come le reti di supporto possano essere collegate a ideologie estremiste, come la Fratellanza Musulmana. Anche in Italia, ci sono stati casi di leader religiosi che hanno diffuso odio anti-ebraico sotto il velo della cultura”. In questo contesto, è essenziale distinguere tra critica legittima alla politica israeliana e antisemitismo. Sebbene non tutti i critici di Israele siano antisemiti, è innegabile che l’antisemitismo si mascheri spesso da legittima opposizione, creando un ambiente in cui le menzogne e gli stereotipi antisemiti si diffondono senza controllo.
Le radici dell’odio
L’antisemitismo ha radici storiche profonde e complesse, che vanno oltre le critiche politiche. Esso unisce motivazioni religiose, razziali e culturali, negando al popolo ebraico il diritto di esistere. Questo è un fenomeno unico rispetto ad altre forme di odio, come quello rivolto verso il popolo ucraino o altre minoranze, che non ricevono lo stesso livello di attenzione o mobilitazione. All’interno delle università italiane, l’antisemitismo si manifesta in modo subdolo, spesso attraverso un’interpretazione distorta della storia e della cultura ebraica. Gli accademici possono perpetuare una narrativa che contrappone l’“ebreo vittima” del passato all’“ebreo oppressore” del presente, alimentando così pregiudizi e stereotipi. “La reticenza a criticare Hamas da parte di alcuni gruppi pro-Palestina”, dice Molle, “ può essere spiegata da un’ideologia romantica che lo dipinge come un movimento di liberazione. Questo riduzionismo ideologico impedisce una valutazione critica delle azioni di Hamas e delle loro conseguenze sui diritti umani, in particolare quelli di genere. La mancanza di una riflessione critica su queste questioni è spesso radicata in un senso di colpa collettivo che impedisce una valutazione oggettiva”.
La Palestina: vittima di Israele o di Hamas?
Secondo il professor Molle, “la questione della Palestina è complessa e richiede una definizione chiara di cosa si intenda per “Palestina”. Storicamente, questa regione comprende diverse aree geografiche, ma se ci concentriamo sui territori contesi tra Israele e le popolazioni arabe musulmane che si identificano come palestinesi, è possibile sostenere che gran parte delle sofferenze siano attribuibili a Hamas. Questo gruppo ha un ruolo centrale nel perpetuare il conflitto, non solo attraverso le sue azioni militari, ma anche per la sua governance nella Striscia di Gaza”. Inoltre, l’intervento di Paesi come l’Iran, che hanno interesse a mantenere il conflitto, contribuisce a questa situazione. Infine, non si può negare che anche una parte della politica israeliana, che non ha cercato attivamente un accordo equo per la spartizione territoriale, abbia un ruolo in questa dinamica.
Chi votano i gruppi Pro-Palestina?
I gruppi che sostengono una posizione pro-Palestina tendono a orientarsi verso forze extraparlamentari e spesso votano per partiti di sinistra o per il Movimento 5 Stelle (M5S). Tuttavia, l’antisemitismo è un fenomeno che attraversa anche il centro del panorama politico italiano, suggerendo che il problema non è limitato a un singolo schieramento. C’è una verosomiglianza con le lotte cruente del ’68? Dice Molle: “Il confronto tra le manifestazioni odierne e quelle del ’68 può avere delle somiglianze, ma non è del tutto appropriato. Le attuali mobilitazioni sono più focalizzate su temi specifici e non hanno la stessa portata. Tuttavia, ci sono elementi comuni, come la perdita di punti di riferimento in un contesto di profondi cambiamenti sociali ed economici. Questo porta i giovani a cercare un impegno sociale e politico, spesso in aderenza a ideologie totalizzanti. Inoltre, la presenza di attori ostili all’interno di questi movimenti può minacciare le democrazie liberali”.
Genocidio a Gaza: un’opinione Critica
La questione del genocidio a Gaza è controversa. Secondo Molle, “non si può ridurre la definizione di genocidio a un mero conteggio delle vittime. La vera essenza del genocidio implica l’intenzionalità di sterminare un gruppo. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) seguono protocolli per ridurre i danni collaterali, e i rapporti tra civili e combattenti uccisi in questo conflitto sono senza precedenti nel contesto delle guerre moderne. È fondamentale riconoscere l’orrore della guerra senza cadere in semplificazioni”. La reazione di alcuni gruppi contro il governo italiano in questo contesto sembra essere una strumentalizzazione del conflitto. È comprensibile che forze politiche cerchino di indebolire il governo in tempi di crisi, ma sarebbe auspicabile una maggiore coesione nazionale.
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