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2024 fuga da New York

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Sono le 9 e 20 di un giovedì mattina, sta per esaurirsi l’ultima ondata dei pendolari verso gli uffici di Midtown Manhattan. Il fiume di uomini e donne affolla con compostezza i vagoni della metro. Tutti immersi nelle proprie cose, in apparenza da un’altra parte. All’improvviso, il treno della linea C diretto alla stazione della 72ª West viene fermato. Dall’altoparlante il conducente dice ai passeggeri di sdraiarsi a terra: c’è stata una sparatoria sulla 69ª e un uomo armato è fuggito dentro la metro, probabilmente sta scappando lungo i binari. Attimi di panico, poi il sangue freddo dei newyorchesi ha la meglio: le porte si aprono, anche se il treno non è in stazione, e agenti di polizia guidano i passeggeri lungo la passerella di cemento alla base della galleria. Per fortuna la piattaforma è vicina, bastano pochi passi per raggiungerla e tornare in superficie. È un altro giorno di ordinaria sopravvivenza a New York, dove bisogna costruirsi addosso un’armatura spessa abbastanza per difendersi dalla crescente durezza quotidiana, ed elastica a sufficienza per godersi le opportunità di una metropoli che per milioni di persone rappresenta ancora la quintessenza del sogno americano. Questa è una città che da sempre lotta per mantenere il suo equilibrio tra opulenza e degrado, ma stavolta la sfida è più difficile: molte di quelle mille luci dei romanzi di Jay McInerney se non spente, di sicuro in pessime condizioni. Le contraddizioni di New York ci sono sempre state. Passato lo spettro della pandemia, la città è tornata ai ritmi abituali, ma è difficile negare la grande crisi che la metropoli sta vivendo: prezzi alle stelle, senso diffuso di insicurezza, il sindaco sotto inchiesta per corruzione.

E adesso che Donald Trump si prepara a inaugurare un nuovo mandato alla Casa Bianca, il quadro per la città si fa ancora più confuso. La roccaforte liberal di sempre, ha visto il consenso per i democratici erodersi. Nelle ultime elezioni, Kamala Harris ha conquistato i grandi elettori di New York con il 68 per cento, lasciando Trump al 30. Ma quattro anni fa Joe Biden aveva vinto con 53 punti di distacco. Il Bronx, a prevalenza ispanica, ha scelto il tycoon. E nel Queens, dove Trump è nato, il voto per lui è passato dal 21,8 di quattro anni fa al 38. In ogni contea della metropoli, anche nell’Upper East Side dei ricchi progressisti, Trump è cresciuto.

Paura del crimine, inflazione e presenza di immigrati hanno contribuito alla svolta repubblicana: a East New York, tra Brooklyn e il Queens, la prostituzione in pieno giorno ha scatenato proteste. Nel 2024 sono stati oltre 210 mila gli irregolari arrivati in città. Il flusso è cominciato nel 2022 quando il governatore del Texas Greg Abbott li ha «spediti» qui con i pullman. Molti sono finiti al Roosevelt Hotel, sulla Quinta: chiuso durante la pandemia, come altri grandi alberghi, nel 2023 è stato riconvertito in centro di accoglienza. In un anno il Roosevelt ha ospitato 150 mila persone, quasi 2.800 a settimana. Ora lo chiamano «nuova Ellis Island».

Oltre all’accoglienza, il sindaco democratico Eric Adams ha garantito a ogni famiglia una carta prepagata da 350 dollari a settimana. Il provvedimento è diventato un cavallo di battaglia dei repubblicani, che hanno accusato i democratici di regalare soldi agli immigrati mentre i cittadini americani erano sotto lo schiaffo dell’inflazione. Subito dopo le elezioni, Adams ha annunciato che da gennaio le carte non saranno più distribuite: basterà a risollevare l’immagine pubblica del sindaco? Adams è il paradigma della crisi di una città divisa tra culto dell’immagine e vita reale: in carica dal 2022, ambizioso e controverso, è stato ufficiale della polizia di New York, senatore statale, presidente del Municipio di Brooklyn prima di arrivare a City Hall. Durante la campagna elettorale, uno dei suoi slogan era Get stuff done, porta a termine le cose: l’acronimo Gsd campeggia ancora su cappellini e giubbotti esibiti dal sindaco nelle uscite pubbliche. Lo «sceriffo» ha spettacolarizzato l’amministrazione della città. Una mise diversa per ogni occasione: la felpa nei contesti operai, il gessato per una platea istituzionale, lo stravagante abito di sartoria al gala del Metropolitan Museum of Art. Un appendiabiti con gli abbinamenti pronti all’uso viaggia sempre con lui nella limousine di servizio. Ma «il sindaco che porta a termine le cose» ha iniziato l’ultimo anno del mandato in salita. Da fine settembre è sotto inchiesta: già prima di essere eletto sarebbe stato al centro di uno scambio di favori. Avrebbe chiesto e ottenuto viaggi di lusso pagati da uomini d’affari tra cui persone vicine al governo turco. Per la legge federale è un reato gravissimo. Nel 2021, a due mesi dell’elezione, Adams avrebbe fatto pressione sui vigili del fuoco per chiudere un occhio sulle norme di sicurezza e accelerare l’apertura di un palazzo di fronte al complesso delle Nazioni Unite, destinato al corpo diplomatico turco. Lui ha rifiutato di dimettersi, annunciando di ricandidarsi nel 2025. Intanto New York affronta ogni giorno le sue battaglie, a cominciare da quella dei prezzi. Secondo Payscale, piattaforma che raccoglie i dati sul costo della vita, quello di New York è del 130 per cento più alto rispetto al resto d’America. A pesare sono soprattutto il caro casa, oltre il 400 per cento della media nazionale, e la spesa alimentare, più 15 per cento. Le ultime stime di Rentcafe, portale di annunci immobiliari, dicono che in media a Manhattan si pagano cinquemila dollari d’affitto per un appartamento di 65 metri quadri. Comunque Giorgio Armani ha inaugurato a Madison Avenue il suo quartier generale, un palazzo di 12 piani, e Flavio Briatore un nuovo ristorante a Lafayette Street. La vita notturna pulsa di luci e di star. E convive con il degrado.

Basta scendere le scale della metro: gli homeless bivaccano negli angoli o sulle panchine. A volte vittime scelte a caso vengono spinte sui binari. Clima pesante, ma forse non così insopportabile per i newyorchesi. «Non voglio farmi dominare dalla paura» spiega Patricia Geremia, assistente esecutiva e coordinatrice amministrativa alla Fondazione Guggenheim. «La metropolitana è pericolosa? Aspetto sempre il treno appoggiata a una parete, o dietro una colonna. Mi dovessero spingere, male che vada mi rompo il naso». Cresciuta nel Queens, da anni Geremia abita a Manhattan. «Sapete cos’era questa città negli anni Settanta? Un incubo: ogni area verde era un pezzo di giungla che nessuno osava attraversare nemmeno di giorno. Central Park, fino alla fondazione dell’ente di tutela nel 1980, era terra di nessuno». La resilienza dei newyorchesi è l’asso nella manica: «Quando sono in una situazione rischiosa, immagino di essere una poliziotta e quando lo fai gli altri non ti vengono a rompere le scatole. Funziona. Una volta un uomo per strada mi aveva urlato contro: mi fossi mostrata impaurita, avrebbe preso il sopravvento. Invece l’ho affrontato. Con l’accento più newyorchese che potevo gli ho chiesto se non si vergognasse. Alla fine se n’è andato e quasi mi chiedeva scusa. Non dico sia semplice, ma si può fare». Central Park resta un posto da evitare quando cala il buio, ma è anche il luogo dove rinasce la speranza. Qui, al traguardo della maratona di New York, la prima domenica di novembre, è arrivato Nev Schulman, che si era rotto il collo appena tre mesi prima in un incidente stradale, e poi ha corso facendo da guida al suo amico non vedente, Francesco Magisano. «Correre in mezzo ai newyorkesi che ti incitano» racconta «è stato per me il trionfo di una comunità che non si arrende mai». Forse ha ragione chi ci vive: la Grande mela potrebbe farcela ancora una volta, contro ogni pronostico. Perché, come scriveva John Steinbeck, è una città orrenda, sporca, corrotta, la competizione è mortale. «Ma c’è una cosa di New York: una volta che ci hai vissuto, ed è diventata la tua casa, nessun altro posto è bello abbastanza».

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