L’infanzia in campagna, i problemi con la giustizia: la vita senza rumore di Marco Magrin
La sua morte ha scatenato un frastuono dirompente, ma che rumore aveva fatto fino a quel momento la vita di un uomo ai margini?
Marco Magrin è morto nella notte tra giovedì e venerdì scorso, da solo, nel garage del palazzo dell’appartamento che aveva occupato fino a qualche mese fa.
Il suo corpo è stato trovato 36 ore dopo il suo ultimo respiro, disteso su un fianco. Aveva ancora addosso il giaccone e in testa il cappello di lana. Questa è solo la fine di una «storia triste», come la definiscono gli amici del bar, fatta di qualche alto e tantissimi bassi.
[[ge:gnn:tribunatreviso:14858168]]
La storia ha inizio sul finire dell’estate di 53 anni fa, a Santa Giustina in Colle in provincia di Padova.
L’infanzia di Marco trascorre come quella di tanti altri bambini nati in un paese della campagna veneta: l’asilo, le scuole dell’obbligo, le prime esperienze. È il passaggio alle superiori lo spartiacque tra un’esistenza comune e una destinata a svolgersi ai bordi. Quella di Magrin è la seconda.
Molla la scuola, comincia a lavorare, dà una mano nell’attività di famiglia gestita da suo padre Emilio. Ma ancora una volta, non è quello che vuole. Troppe regole, troppi obblighi.
[[ge:gnn:tribunatreviso:14865734]]
La vita di Marco cambia ritmo. Inquieto, si avvicina a compagnie poco raccomandabili, composte da persone molto più grandi di lui.
I primi soldi in tasca, arrivati senza dover lavorare otto ore al giorno per cinque giorni a settimana. Un privilegio riservato a pochi, «a quelli più svegli» gli dicono i capi di quel clan che lo aveva adottato.
La distanza con la famiglia si fa sempre più incolmabile. Se ne va di casa, vive di espedienti. Una volta, due volte.
«Il prossimo sarà l’ultimo, lo giuro», si convince. Troppo tardi, Marco deve scontare una pena in carcere e poi, per la buona condotta, gli viene concesso di entrare in una comunità della provincia di Treviso.
[[ge:gnn:tribunatreviso:14867877]]
Lì conosce Vanessa e si innamora. Tutto diventa possibile, anche cambiare nuovamente melodia alla sua vita. Insieme trovano una stanza, in un appartamento condiviso di Treviso, di proprietà di una signora anziana, un attico in Strada Castagnole, alle porte della città.
Lavorano entrambi, ma la vita li mette davanti a delle scelte. E la coppia cade. Marco non molla. Cerca dei lavoretti saltuari che gli permettono di acquistare del cibo e passare qualche ora con gli amici, una famiglia acquisita.
[[ge:gnn:tribunatreviso:14868447]]
La situazione precipita quando la proprietaria dell’appartamento muore, l’accordo decade e lui non riesce a far fronte alle spese. Resta senza elettricità e senza lavoro. Chiede aiuto. «Ho scritto al sindaco, al Comune e anche al prete. Non so più cosa fare», racconta ad un conoscente.
Non a tutti, perché lui è «Marco Zainetto», quello che parla di tutto, ma mai di sé stesso. Rimane da solo, mentre la sua ex compagna entra in comunità per disintossicarsi.
Deve lasciare la casa, sono anni che non offre un contributo e il nuovo proprietario, quell’Andrea Berta attivista di Django che ha ereditato la casa dalla zia, dopo due anni gli dice che deve vendere l’appartamento per rientrare del buco: «Non ti preoccupare, ho trovato una stanza, libero l’appartamento in 20 giorni».
In quella stanza, però, non è mai entrato. Ed è calato il silenzio. Prima delle grida dello scandalo.