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La risposta di GEDI alle contestazioni del Garante Privacy sull’accordo con OpenAI

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La reazione del Gruppo GEDI all’avvertimento formale del Garante della Privacy rispetto al suo accordo con OpenAI non si è fatta attendere. Non poteva essere diversamente, dal momento che la posizione dell’autorità rischia di minare alle fondamenta il patto che la grande azienda di ChatGPT e SearchGPT (tra le altre cose) ha fatto con uno dei più grandi gruppi editoriali italiani, al fine di migliorare i propri servizi sulla base di ingenti quantitativi di informazioni che provengono direttamente da chi si occupa di notizie e – quindi – di attualità. La risposta di GEDI, infatti, cerca di salvare il salvabile, fornendo anche qualche dettaglio in più sulle tempistiche collegate all’accordo con ChatGPT.

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La risposta di GEDI che, però, non coglie il punto dell’avvertimento del Garante

Come riportato dall’ANSA, il Gruppo GEDI ha affermato: «L’accordo sottoscritto con OpenAI non ha ad oggetto la vendita di dati personali, e non è stato ancora avviato – si legge nella nota -. L’accordo riguarda la comunicazione di contenuti editoriali, derivanti dall’attività giornalistica, e lo sviluppo di nuove e innovative modalità, tali da rendere accessibili i contenuti editoriali anche attraverso strumenti basati sull’intelligenza artificiale, assicurando al contempo la tutela dei diritti di proprietà industriale e intellettuale delle testate del Gruppo Gedi».

Questa risposta non sembra entrare nel merito. Anche se l’accordo riguardasse “la comunicazione di contenuti editoriali derivanti dall’attività giornalistica”, questi ultimi sarebbero frutto comunque di rielaborazione di dati. Pensiamo, ad esempio, a un articolo giornalistico che faccia riferimento a un processo che – anni dopo – si concluderà con una archiviazione. I dati sensibili delle persone coinvolte sarebbero comunque riportati all’interno dell’articolo e verrebbero trattati all’interno del database a cui OpenAI andrebbe ad attingere per l’addestramento dei suoi servizi, non garantendo – o rendendo più complessa – l’applicazione del diritto all’oblio per i soggetti che, legittimamente, chiedessero di cancellare le tracce dal web rispetto a quel processo concluso con l’archiviazione. Ma si tratta solo di uno dei tanti esempi che si possono fare: condividere i dati giornalistici con il sistema di addestramento di un’intelligenza artificiale generativa significa indubbiamente esporre quei dati a una conservazione estremamente diversa rispetto a quelle a cui siamo abituati e che sono disciplinate, attualmente, dalle normative europee in materia di protezione dei dati personali.

Solo parzialmente, inoltre, nella risposta si dà conto dei problemi di trasparenza rilevati dal Garante. Infatti, il Gruppo GEDI afferma che l’accordo non è stato ancora avviato, lasciando quindi un certo margine rispetto alla comunicazione delle conseguenze ai propri utenti e alle persone – dalle istituzioni ai comuni cittadini – che saranno oggetto dei contenuti giornalistici delle testate del gruppo. Dunque, non è un problema di copyright – come la nota di GEDI sembra interpretare -, ma un problema di privacy e trasparenza della comunicazione. Sul copyright, in teoria, non ci sarebbe nulla da eccepire, dal momento che i contenuti che verranno presi in esame da OpenAI sono di proprietà dello stesso gruppo che ha stretto accordi in tal senso con la multinazionale americana che opera nel settore dell’intelligenza artificiale.

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