Slovenia, Croazia e Austria: «Ancora controlli ai confini»
Il ritorno all’era Schengen, alla libera circolazione tra i Paesi dell’Unione europea senza alcun controllo ai confini è sempre più una chimera, una prospettiva remota. E neppure in agenda. Perché i tempi non sarebbero maturi.
È la diagnosi, fosca, che è emersa da un incontro-dibattito di alto livello tra i ministri degli Esteri di tre Paesi vicini all’Italia – Slovenia, Austria e Croazia – tutte nazioni che hanno reintrodotto, come l’Italia, appunto, i controlli confinari a campione alle loro frontiere. E intendono mantenerli.
Lo ha confermato la padrona di casa, la ministra degli Esteri slovena, Tanja Fajon, che ha ospitato a Lubiana gli omologhi austriaco, Alexander Schallenberg e quello croato, Gordan Grlic-Radman, per discutere alcuni dei temi-chiave per i tre Paesi, ma che interessano anche i vicini Balcani. Temi-chiave come, appunto, il ritorno all’area Schengen come la conoscevamo, qualcosa che «certamente tutti vorremmo vedere», ha assicurato Fajon.
Purtroppo, ha però continuato, «viviamo in tempi in cui la situazione relativa alla sicurezza non lo permette», a causa di minacce che «non consentono una decisione differente» se non quella di continuare con i controlli, come ha fatto di recente Lubiana.
Lo scorso 21 novembre, ricordiamo, la Slovenia ha annunciato infatti la decisione di prorogare per altri sei mesi, a partire dal 21 dicembre, i controlli alle frontiere con Ungheria e Croazia, introdotti per la prima volta il 21 ottobre dell’anno scorso, citando un ulteriore deterioramento del quadro sicurezza in Medio Oriente e un aumento della minaccia terroristica, ha informato l’esecutivo di Lubiana. Lo stesso ha fatto l’Italia che di recente ha esteso la misura ad altri sei mesi.
Come accaduto finora, «la polizia slovena effettuerà controlli con impatto minimo sul flusso dei viaggiatori», tenendo in particolare conto le esigenze «delle persone che vivono in aree di confine», ha precisato l’Ukom, l’ufficio per le comunicazioni del governo sloveno. Ma c’è chi, i controlli, li ha reintrodotti da tempo immemorabile. È l’Austria, che addirittura dal 2015 – al picco della crisi migratoria – ha deciso di sospendere Schengen alla frontiera con la Slovenia. I migranti, ormai, sono sempre di meno, la crisi è lontana, ma Vienna insiste a non voler far marcia indietro. E difficilmente cambierà presto rotta.
Negli ultimi mesi «abbiamo visto sempre più Paesi introdurre controlli ai confini interni», ha così esordito Schallenberg in quel di Lubiana, un riferimento alle decisioni prese da altre nazioni Ue, tra cui Germania, Francia, Danimarca, Svezia e Paesi Bassi, con quest’ultimi che inizieranno i controlli al confine belga e tedesco il prossimo 9 dicembre. E per Vienna, queste, sono tutte indicazioni che «il sistema» Schengen ormai «non funziona come dovrebbe», ha concluso Schallenberg.
Come aggiustarlo? Solo con un patto sulle migrazioni tra Paesi Ue, ha aggiunto Schallenberg, una posizione condivisa dal croato Grlic-Radman, che ha sottolineato l’urgenza che tutti i Paesi Ue lavorino insieme contro l’immigrazione irregolare e per il controllo dei flussi. Ma Fajon, Schallenberg e Grlic-Radman hanno discusso anche di altri temi importanti. Ribadendo l’importanza di accelerare l’integrazione Ue ai Balcani – «ma non posso dire che l’Ue è pronta», ha ammesso Fajon – e di continuare a lavorare per ridurre «la dipendenza dal gas russo», anche potenziando il rigassificatore di Krk.