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Carlo Barsotti è andato via: attore e regista, è grazie a lui che mio padre prese il Nobel

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Un giorno del 1968, dopo una giornata di scontri furiosi con la polizia, Carlo sale con un amico su una 500 scassata e da Livorno parte per la Svezia. Dopo 2300 chilometri sono quasi arrivati a Stoccolma ma sono distrutti. È notte alta, accostano in un’area di sosta lungo l’autostrada e si addormentano. Vengono risvegliati da un bussare insistente al finestrino. Sono due poliziotti.

Carlo teme che si metta male… Quale legge avranno violato? Finiranno in questura? Gli agenti, a gesti, spiegano che non possono dormire lì e fanno loro strada fino ad un’area di parcheggio fuori dall’autostrada. Sempre a gesti i due italiani cercano di domandare loro dove sia possibile mangiare qualche cosa. La risposta è molto vaga. I due rinunciano al cibo e si rimettono a dormire.

Dopo un po’ di nuovo il bussare al finestrino. Carlo e l’amico si svegliano e non possono credere ai loro occhi. I poliziotti hanno portato un vassoio con la colazione. Un regalo di benvenuto in Svezia!

Quest’accoglienza da parte della polizia svedese li colpisce talmente che invece di tornare in Italia dopo un paio di settimane restano lì per tutta la vita, complice il fatto che Carlo si innamora follemente di una svedese bellissima, con una montagna di riccioli neri. Svedese anomala.

Di lì a poco lei diventerà la signora Anna Barsotti, una donna straordinaria con la quale Carlo inizia un sodalizio che durerà tutta la vita e che darà grandi frutti. Anna è una pedagoga e insieme realizzano tre documentari sul lavoro di Loris Malaguzzi, il capo partigiano che dopo la fine della guerra vende come ferrovecchio due carri armati catturati ai tedeschi e con il ricavato fonda l’Asilo Diana di Reggio Emilia, proponendo una nuova concezione dell’educazione dei bambini.

Carlo e Anna riescono a far conoscere Malaguzzi in tutto il mondo, e mentre in Italia viene poco considerato, il suo approccio influenza oggi le linee pedagogiche in molti paesi oltre alla Svezia. Contemporaneamente, insieme iniziano a tradurre e a mettere in scena gli spettacoli di Dario Fo e Franca Rame, creando una loro compagnia teatrale. Riescono anche a organizzare alcune tournée in Scandinavia e così inizia quel lento percorso che decenni dopo porterà al Nobel.

Carlo diventa anche autore e regista di film (tra questi Un paradiso senza biliardo). Con Franca e Dario conosce Carlo Petrini e diventa ambasciatore di Slow Food in Scandinavia.

Carlo è stato un grande artista, tanto generoso da investire buona parte del suo tempo non su se stesso ma nella promozione di ingegni italiani.

Quando avevo 20 anni mio padre mi spedì da lui per imparare come si costruiscono le maschere e riuscii a frequentare un corso di un mese al Dramatiska Institutet di Stoccolma, una università pubblica straordinaria, allocata in un avveniristico palazzo di vetro, legno e mattoni. Un’istituzione che 50 anni dopo l’Italia non è ancora stata capace di costruire… Noi preferiamo spendere soldi in cannoni.

Con Carlo e Anna ho vissuto e lavorato in varie occasioni, approfittando della loro molteplicità creativa: scenografie, costumi, mostre, manifesti, orologi, tazze, tessuti… Abbiamo pure cucinato insieme una cena italiana in un ristorante di Odense, grande successo, io ho fatto tra l’altro il risotto alla lombarda, lui i crostini con crema di fegatini e vino (molto) cotti per cinque ore, alla livornese.

Con loro ho conosciuto Malaguzzi, che mi ha accusato di essere un pessimo padre e non aver capito nulla dell’educazione alla curiosità e alla fantasia. Aveva ragione.

Carlo era una persona meravigliosa. Dico “era”, ma la verità è che certa gente non muore veramente… Si fa per dire…

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