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Ноябрь
2024

Un disertore russo confessa: “Putin era pronto a lanciare missili nucleari già dal primo giorno di guerra”

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Nascosto in un luogo imprecisato al di fuori della Russia, Anton — nome di copertura scelto per proteggerne l’identità — rompe il silenzio sulle armi nucleari del Cremlino. Ex ufficiale di una base nucleare russa, la sua storia, raccolta dalla Bbc, rivela dettagli agghiaccianti. Per cominciare, «il giorno in cui è iniziata la guerra, le armi erano pronte a essere utilizzate».

Il giorno dell’allerta nucleare

Era il febbraio 2022, quando la Russia lanciò l’invasione dell’Ucraina su larga scala. «Prima di allora, si trattava solo di esercitazioni», ricorda Anton. Ma il 24 febbraio, l’arsenale nucleare russo era già pienamente operativo e pronto all’uso. «Eravamo pronti a lanciare i missili verso il mare e l’aria e, in teoria, a effettuare un attacco nucleare», dichiara il disertore.

La sua unità, incaricata della sorveglianza di una base nucleare altamente riservata, si trovò improvvisamente «rinchiusa» all’interno del complesso, isolata dal mondo esterno. «Tutto ciò che avevamo era la televisione di stato russa», spiega, evocando un’atmosfera di alienazione e obbedienza meccanica. «Non capivo davvero cosa significasse tutto questo — dice Anton — Non combattevamo nella guerra, ci limitavamo a sorvegliare le armi nucleari»

La testimonianza di Anton trova riscontro nelle dichiarazioni pubbliche di Vladimir Putin, che tre giorni dopo l’invasione ha annunciato di aver posto le forze di deterrenza nucleare della Russia in un «regime speciale di servizio di combattimento». Tuttavia, secondo l’ex ufficiale, l’allerta massima fu revocata entro due o tre settimane, un dettaglio che rimarca l’equilibrismo tra provocazione e strategia.

Un arsenale da non sottovalutare

L’arsenale nucleare russo è stato spesso oggetto di speculazioni in Occidente, con «sedicenti esperti» che ne hanno sottolineato l’obsolescenza, attribuendogli un’aura di inefficacia. Ma Anton respinge con fermezza queste ipotesi. «Potrebbero esserci armi di tipo antiquato in alcune aree», afferma, «ma il Paese dispone di un arsenale nucleare enorme, con un numero elevato di testate, inclusi pattugliamenti costanti su terra, mare e aria».

La manutenzione, racconta, è incessante: «Il lavoro per mantenere le armi nucleari è continuo, non si ferma nemmeno per un minuto». Una puntualizzazione che pone un inquietante accento sull’efficienza di un apparato bellico progettato per tempi di reazione di appena due minuti.

La linea rossa: un ordine criminale

La diserzione di Anton non è motivata dalla strategia nucleare del Cremlino, ma da un momento di rottura etica. Poco dopo l’inizio della guerra, ricevette un ordine che considera un «crimine di guerra». «Dicevano che i civili ucraini sono combattenti e devono essere distrutti» racconta ancora indignato.

Rifiutandosi di diffondere questa propaganda, Anton fu punito con un trasferimento in una brigata d’assalto regolare, destinata alla prima linea. Queste unità sono spesso vengono inviate in battaglia come “prima ondata” e diversi disertori avevano racconto il trattamento riservato ai “dissidenti” contrari alla guerra: utilizzati come «carne da cannone».

La fuga e la lotta per la sopravvivenza

La decisione di fuggire maturò dopo che contro di lui venne aperto un procedimento penale. Con l’aiuto di un’organizzazione per disertori, riuscì a lasciare la Russia. Ma il prezzo della libertà è alto. «Prendo precauzioni, lavoro in nero e non mi faccio vedere in alcun sistema ufficiale», è purtroppo costretto a dichiarare. I contatti con i suoi ex colleghi sono cessati: «Devono sottoporsi a test con la macchina della verità, e qualsiasi contatto con me potrebbe portare all’apertura di un caso penale».

Anton sa che la sua testimonianza è un rischio. Ma continua a collaborare con l’organizzazione Idite Lesom (Vai per la foresta) per aiutare altri soldati a fuggire, un numero che continua a salire arrivando oggi a 350 al mese. «Più mi impegno in questo, più aumenta la probabilità che possano cercare di uccidermi», commenta infine Anton.

Un messaggio al mondo

Con la sua fuga, Anton non cerca solo salvezza personale. Vuole inviare un messaggio: «Molti soldati russi sono contrari alla guerra». Un’affermazione che solleva domande su quanto sia solido il consenso interno attorno a Vladimir Putin e al suo apparato bellico.

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