Da seminario a cittadella degli studi: la storia del collegio di Rubignacco
Nel tempo è diventato un qualificato centro scolastico che accorpa l’offerta formativa tecnica (nel settore agrario, ma anche in quello economico) e quella professionale (con il più grande istituto regionale di avviamento al lavoro) e che include pure un settore per l’accoglienza per i minori stranieri non accompagnati; in passato però ha cambiato veste più volte, sperimentando destinaizoni e dimensioni molto diverse l’una dall’altra.
La lunga, mutevole e interessante storia del complesso di Rubignacco – che rispetto alle origini ha mantenuto la propria missione formativa, pur adeguandosi ai diversi cambiamenti storico-sociali e anche ai nuovi fenomeni migratori – riaffiora nei minimi dettagli attraverso un corposo lavoro di studio e di ricerca che è sfociato nel volume “Il collegio di Rubignacco, 1904-2024. Da seminario a cittadella degli studi e dell’accoglienza”, firmato da Arduino Cargnello, Paolo Moratti e Attilio Vuga e arricchito dai contributi di Maria Cristina Novelli, Odorico Serena e Paolo Strazzolini.
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Si tratta di un’opera che sarà presentata al pubblico venerdì, alle 18, in Centro San Francesco a Cividale.
Le evoluzioni che si sono susseguite nell’arco di 120 anni poggiano su fondamenta legate al mondo religioso: in principio, infatti, l’ampia struttura di Rubignacco fu un seminario minore diocesano, cui in seguito si unì un seminario delle missioni estere dei Gesuiti.
La cesura arrivò con la prima guerra mondiale: la sede, infatti, fu requisita dall’autorità militare e quindi divenne un ospedale destinato alla cura dei feriti al fronte. Mantenne tale funzione fino al termine del conflitto, quando l’arcivescovo di Udine, Antonio Anastasio Rossi, decise di vendere l’edificio alla Provincia, con la clausola che l’immobile restasse destinato agli orfani di guerra bisognosi di assistenza e istruzione.
Fu l’inizio di un percorso che portò alla progressiva nascita di poli scolastici e laboratori di avviamento professionale, con annessa sede per l’accoglienza; durante la seconda guerra mondiale, però, nel contesto si avvicendarono pure il presidio della Repubblica sociale italiana, la VII brigata Osoppo Friuli e la Red Bull Division americana: il libro racconta tutto questo, con dovizia di particolari, offrendo un quadro estremamente dettagliato su una realtà che ha giocato un ruolo fondamentale nei due dopoguerra, garantendo il sostentamento e la formazione di centinaia di bambini e ragazzi.
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Dalla trentina di giovanissimi accolti in Collegio nel 1920 si era passati a 333 già l’anno successivo (200 dalla provincia di Udine, il resto dalla Venezia Giulia): il sistema scolastico messo in piedi per loro partiva dall’asilo, proseguiva con le elementari e garantiva poi varie possibilità di formazione professionale.
Sorsero scuole di disegno, di sartoria maschile e femminile, di calzoleria, un laboratorio per falegnami ebanisti, uno per cestai, un’officina di fabbro-ferrai meccanici, un forno adibito a panificio e pastificio. Nel 1924 il sistema di formazione contava 403 allievi e 187 allieve.
Prese forma pure una colonia agricola, con stalla, fienile e magazzino e con una ventina di campi coltivati a vigna, frutteto, orto, cereali e altro; si allevava il baco da seta (a tale mestiere furono avviate tante ragazzine), si fabbricavano attrezzi per la campagna, si lavorava il legno per realizzare zoccoli. Le bambine erano guidate a diventare sarte, lavoranti in biancheria, maglieria, stireria o cucina, o indirizzate all’orticoltura.
E per rendere il più serena possibile la quotidianità dei collegiali venivano organizzate attività ricreative, con giochi, ginnastica, lettura (c’era una ricca biblioteca), proiezioni cinematografiche nei fine settimana, corsi di teatro.