Niente riscaldamento: tre marittimi al gelo sulla nave Al Filk a Monfalcone
La Al Filk non finisce mai di sorprendere. Quando si pensa che le situazioni di precarietà vissute dai marittimi “superstiti” siano già al limite, arriva sempre un elemento di novità a ingarbugliare ulteriormente la matassa.
Non bastasse infatti che la portacontainer battente bandiera della Tanzania da oltre 9 mesi occupa l’accosto 1 di Portorosega a Monfalcone – sì più defilato rispetto al molo 3 su cui l’8 febbraio era scattata d’autorità la detenzione, ma pur sempre una banchina sottratta alle manovre commerciali – ora la nave è anche in totale blackout. Niente energia per fornelli, frigoriferi, luci, calore.
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Il blackout
Lo sa bene chi ancora si occupa (Stella Maris su tutti e pure il sindacato internazionale) dei tre uomini rimasti a bordo, assistendoli nel rifornimento di derrate alimentari e beni di prima necessità. Infatti Fhp, che generosamente aveva concesso gratis la disponibilità di un generatore di corrente, dopo che il precedente era finito gambe all’aria, sobbarcandosi anche il gasolio, s’è vista costretta due settimane fa a riprendersi l’apparecchio per proprie necessità, sicché con le rigide temperature i marittimi hanno «ripreso sporadicamente ad accendere fuochi, prelevando il legname di fardaggio che trovano».
Lo riferisce Paolo Siligato (Filt-Cgil), ispettore Itf, il sindacato internazionale dei marittimi dall’inizio in prima linea nell’assistenza allo sventurato equipaggio della Al Filk, riuscito a settembre a rimpatriare con volo per Mumbai 8 degli 11 membri di bordo, tutti indiani. Di questi qualcuno ha già ripreso la navigazione in acque più floride.
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Siligato aveva i biglietti per tutti, ma all’ultimo comandante, nostromo e direttore di macchina non hanno voluto abbandonare la nave, in accordo con l’armatore. Una scelta che a molti è parsa incomprensibile, stante le attuali condizioni, oggetto di un’interrogazione regionale a firma di Enrico Bullian.
Siligato s’è confrontato di recente con il rappresentante per la sicurezza di sito Eugenio Calzolari ed evidenzia criticità dettate dal fatto che «i marittimi girano in porto alla ricerca di legname, peraltro non di loro proprietà, con cui appiccare i fuochi per cucinare, ma privi di indumenti ad alta visibilità e con i soli giubbotti da esquimesi per sopperire al freddo rischiano di non esser visti da chi magari sta lì movimentando bramme, esponendo così pure il lavoratore a incidenti». Oltretutto «sono attesi a breve interventi alla palazzina della Compagnia e potrebbe accadere che i tre non riescano più ricaricare lì i telefonini o a fruire delle toilette». E ciò farebbe precipitare la situazione sotto il profilo igienico-sanitario.
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S’è assiduamente attivato pure il volontario di Stella Maris Brian Harland, foraggiando sua sponte alcuni acquisti. Così l’equipaggio ha potuto avere stufette, bombolette del gas per cucinare, cibo e altri beni. Ha perfino anticipato somme che poi i familiari dei tre hanno rimborsato tramite money transfert. Dai marittimi Harland ha appreso che «nel giro di una decina di giorni dovrebbero potersi muovere, con destinazione Spalato, per effettuare i lavori prescritti e riprendere la navigazione: l’ha detto l’armatore». Peccato che alla Capitaneria la nave risulti ancora sotto sequestro giudiziario e che l’autorità non sia al corrente di via libera o di un piano di rimorchio, procedure ineludibili.
Il comandante Fausto Schirone conferma che «la situazione è sempre quella e viene monitorata nelle ronde», valutando «tutti i possibili risvolti, sotto ogni profilo: il caso non è sottovalutato né dimenticato». Non la pensa così Harland, che oltre a consegnare ai marittimi guanti ha pure acquistato la carbonella per la griglia: «Lo faccio volentieri, mi meraviglia tuttavia la mancanza di interesse di tutte le istituzioni che potrebbero far qualcosa. Silenzio assoluto». Come nel freddo ventre della Al Filk, al buio. — © RIPRODUZIONE RISERVATA