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Alle radici psicologiche della violenza degli uomini: mascolinità tossica e dominio sulla sessualità femminile

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Il 25 novembre, in occasione della Giornata Mondiale contro la Violenza sulle Donne, il mondo si ferma per riflettere su un fenomeno devastante che colpisce milioni di donne ogni anno. La violenza di genere non è solo una questione di cronaca o giustizia, ma una problematica complessa, radicata in dinamiche psicologiche e sessuologiche. Seppur entrambi i sessi possono subire violenza di genere, l’incidenza delle vittime di genere femminile prevale notevolmente.

Le statistiche globali evidenziano la portata di questa emergenza. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), una donna su tre nel mondo ha subito almeno una volta nella vita una forma di violenza fisica o sessuale, prevalentemente da parte di un partner intimo. In Europa, circa il 22% delle donne ha dichiarato di aver subito violenza fisica o sessuale da un partner, mentre in Italia i dati Istat del 2021 rivelano che il 31,5% delle donne tra i 16 e i 70 anni ha subito violenza almeno una volta nella vita. Tra gli episodi più gravi, gli atti persecutori coinvolgono donne in una percentuale compresa tra il 73% e il 75% dei casi, mentre le violenze sessuali vedono le donne come vittime tra il 91% e il 93% delle volte. Particolarmente inquietante è il numero dei femminicidi: nel 2023, secondo il rapporto del Viminale, il 37% degli omicidi totali in Italia ha avuto come vittime donne, e nel 67% dei casi il colpevole era un partner o un ex.

Dal punto di vista psicologico, la violenza maschile contro le donne nasce spesso da un bisogno patologico di potere e controllo. Questo comportamento è il risultato di una cultura che esalta una mascolinità tossica, in cui forza e dominio vengono considerati sinonimi di virilità. Molti uomini violenti provengono da contesti familiari o sociali in cui la violenza è stata normalizzata, trasformandosi in un modello comportamentale appreso. La mancanza di strumenti emotivi per gestire frustrazioni, insicurezze o conflitti spinge questi individui a esprimere il proprio disagio attraverso l’aggressione, cercando di riaffermare un controllo che sentono di perdere. In molti casi, queste azioni sono alimentate da una profonda paura dell’abbandono o dal timore di perdere il proprio ruolo dominante nella relazione.

Sul piano sessuologico, la violenza maschile si collega a una visione distorta della sessualità femminile, spesso ridotta a un oggetto di possesso o dominio. In molte culture, la donna non viene riconosciuta come soggetto autonomo, ma come un bene da controllare. Spesso, l’unica colpa della donna abusata è aver infranto il ruolo ideale che la tradizione attribuisce al genere femminile. Questo atteggiamento è rafforzato da una carente educazione sessuale, che perpetua stereotipi e alimenta dinamiche di sottomissione. La pornografia, se consumata senza consapevolezza critica, contribuisce a diffondere un’immagine della sessualità in cui il consenso è irrilevante e la subordinazione della donna è normalizzata. È importante sottolineare che la violenza sessuale, in particolare, non deriva dal desiderio erotico, ma dal bisogno di affermare potere e superiorità, spesso umiliando la vittima.

Un ulteriore fattore cruciale è il ruolo delle strutture sociali e istituzionali che, in molti casi, non offrono un sostegno adeguato alle vittime né puniscono severamente i colpevoli. La minimizzazione della violenza, i pregiudizi nei confronti delle donne che denunciano e la cultura del silenzio contribuiscono a perpetuare il fenomeno. In Italia, per esempio, solo una percentuale ridotta delle donne vittime di violenza (il 12% circa) denuncia l’accaduto, spesso scoraggiate dalla paura di ripercussioni, dall’inadeguatezza del sistema giudiziario o dalla vergogna sociale. È fondamentale promuovere politiche che garantiscano protezione e giustizia alle vittime, insieme a programmi di recupero per gli uomini violenti, volti a spezzare il ciclo della violenza. Questo richiede un impegno collettivo, che coinvolga famiglie, scuole, media e istituzioni.

Affrontare questa problematica richiede un cambiamento profondo e collettivo. Serve un’educazione emotiva e relazionale che insegni agli uomini sin dall’infanzia a riconoscere e gestire le proprie emozioni senza ricorrere alla violenza. Parallelamente, occorre decostruire i modelli di mascolinità tossica e promuovere un’immagine dell’uomo come partner rispettoso e solidale. In ambito sessuologico, un’educazione sessuale completa e inclusiva può aiutare a combattere la percezione della donna come oggetto, favorendo relazioni basate sul rispetto reciproco.

La violenza sulle donne non è un fatto inevitabile, ma il prodotto di una cultura che può essere cambiata. Solo attraverso l’impegno di tutti possiamo costruire una società in cui ogni donna abbia il diritto di vivere libera dalla paura, in un ambiente di rispetto e uguaglianza. I numeri non sono solo dati: rappresentano vite spezzate e storie di sofferenza che non possiamo ignorare.

Ringrazio per la collaborazione la dr.ssa Silvia Carsetti

L'articolo Alle radici psicologiche della violenza degli uomini: mascolinità tossica e dominio sulla sessualità femminile proviene da Il Fatto Quotidiano.