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L’inflazione e il lavoro turistico fanno perdere terreno ai salari a Venezia

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Negli ultimi quattro anni, a causa dell’inflazione e soprattutto della composizione del lavoro a Venezia, i lavoratori dipendenti hanno perso praticamente una mensilità all’anno.

I dati dell’Inps, elaborati dall’ufficio studi della Cgil, non mentono: i salari non tengono testa all’inflazione, cresce l’occupazione ma è per lo più precaria e mal pagata.

Gli addetti dal 2019 ad oggi sono infatti circa quindicimila in più, ma la tipologia dei contratti è pagata meno e i contratti in prevalenza stagionale o temporanea. Colpa del turismo, il settore trainante dell’occupazione, che però è molto lontano dalla media salariale.

«I dati sulla situazione dei salari dimostrano come questa sia una vera emergenza non più rinviabile e che sta drammaticamente impoverendo le famiglie veneziane dichiara» Daniele Giordano, segretario generale Cgil.

Visualizzando in termini storici l’andamento dei salari e dell’inflazione risulta evidente come a partire dal 2020 la situazione reddituale delle lavoratrici e dei lavoratori sia andata nella direzione di una radicale erosione del potere d’acquisto.

Facendo base al 2019, secondo l’indice FOI provinciale, l’inflazione è stata del 15% in 4 anni, mentre l’aumento dei salari si è fermato al 6,2%. Un gap che ha fatto perdere ai lavoratori dipendenti praticamente una mensilità all’anno.

Il dato è ancor più evidente a Venezia, dove la ripresa dopo la pandemia è stata di impatto minore, anche a causa della preponderanza del lavoro nell’industria turistica.

In termini assoluti, il reddito medio dei veneziani si ferma nel 2023 a 22.466 euro contro i 23.661 euro della media nazionale.

Un’attenta analisi delle sezioni Ateco dimostra che le differenze sono particolarmente significative di settore in settore. Nel Veneziano continua a crescere il peso in termini di occupazione del turismo, che vede incrementare del 7,5% gli occupati in soli 4 anni.

Ma proprio il turismo risulta essere uno dei settori con i salari medi più bassi e una minore crescita dei salari (5,5%), portando le lavoratrici e i lavoratori a trovarsi con il 9,5% di stipendio in meno al netto dell’inflazione.

Risultato occupati nel turismo quasi novantamila persone (tra ospitalità e agenzie di viaggi), su un totale degli occupati di 300 mila persone. Mentre nel manufatturiero risultano 56 mila addetti, con una media salariale di 29 mila euro. I più ricchi sono gli addetti ai servizi finanziari e assicurativi, con 47 mila euro di reddito annuo. Tra i più poveri, insegnanti e addetti alla sanità.

Secondo la Cgil, che sul tema intende condurre una battaglia nei prossimi mesi, «i contratti nazionali non possono da soli dare una risposta salariale adeguata, i dati ci dicono anche chiaramente che la soluzione non può essere individuata nella contrattazione di secondo livello. Servono piuttosto politiche fiscali diverse – prosegue Giordano – che portino ad una riforma dell’Irpef che determini una vera progressività fiscale andando a chiedere a chi ha di più di contribuire maggiormente al bilancio dello Stato. Oggi il peso del fisco ricade quasi esclusivamente su lavoratori e pensionati, che nelle fasce di reddito medio sono particolarmente colpite da questo sistema. Insieme a queste occorrono maggiori investimenti per produrre lavoro di qualità, adeguatamente retribuito e stabile che definisca delle traiettorie plurali di sviluppo per il nostro territorio che viene strangolato dalla monocultura turistica».