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Stop intercettazioni: perché la politica non dice chiaramente che lo scopo non è risparmiare?

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Avanti tutta con brio verso la limitazione delle intercettazioni telefoniche e ambientali. Finalmente il sogno di alcune forze politiche si sta realizzando. Il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin voglia scusarmi, se da ex operaio delle intercettazioni dissento sulla sua proposta.

Vede, egregio senatore, io sono convinto che voler limitare le intercettazioni non sia un problema di costi per lo Stato – come qualcuno sostiene – ma piuttosto avvenga per salvaguardare quel granitico mondo di colletti bianchi. Ovviamente i beneficiari di questa tagliola temporale saranno in primis personaggi che, vestendo abiti istituzionali, potranno avere mani libere nel commettere reati. Ma perché questa classe politica non lo dice senza giri di parole o infingimenti, che lo scopo non è risparmiare quattrini?

Durante la mia attività d’indagine, ho intercettato centinaia e centinaia di telefoni e solo chi si è messo le cuffie per ascoltare i telefoni o le cimici potrà capire che “stoppare” un’intercettazione allo scadere dei 45 giorni è sicuramente un obbrobrio. Chi è delegato all’ascolto deve avere quella serenità necessaria per carpire i dialoghi spesso criptati da un linguaggio incomprensibile il cui fine è eludere le investigazioni. E quasi sempre gli indagati, nel lungo periodo di intercettazioni, commettono errori.

Ne sono certo: la norma che sta per essere editata creerà ansia e disagio agli addetti all’ascolto. E’ illusorio pensare che nell’arco temporale dei 45 giorni si possa acclarare la responsabilità degli intercettati. Ogni intercettazione si differenzia, e quindi è impossibile stabilire un limite perentorio; semmai dovrebbero essere gli elementi emersi a decidere. In incipit ho detto che sono stato un operaio: vorrei citare un’intercettazione che, se fosse stata in vigore la norma del senatore Zanettin, certamente avrebbe avuto un risultato diverso. Tantissimi anni fa iniziammo ad intercettare un’utenza telefonica dopo che ci era giunta notizia di un traffico internazionale di armi pesanti a favore del regime di Saddam Hussein. L’utenza telefonica era in uso a un ex della Legione straniera. All’inizio dell’ascolto non emergeva proprio nulla. Passavano i giorni e non riuscivamo a comprendere la natura dei dialoghi: usavano un linguaggio codificato con citazioni di numeri e quindi fummo costretti ad ampliare le intercettazioni delle nuove utenze che erano emerse (se ben ricordo una dozzina). Fu una mossa vincente, giacché riuscimmo a comprendere che quei numeri erano riferiti all’acquisto di armi indicate nei cataloghi in loro possesso.

Dopo mesi d’intercettazione si procedette all’arresto di cittadini italiani, un giordano, un iracheno e una ventina di indagati a piede libero. Rinvenimmo i famosi “cataloghi” che comprendevano ogni tipo di armamento, missili terra-aria, sistemi sofisticati di puntamento notturno e mine marine. Invero, per il traffico di petrolio, ne parlavano apertamente. Nelle perquisizioni furono rinvenuti documenti sulle triangolazioni di capitali per diversi miliardi di lire, tra il nostro Paese, Singapore e Brasile.

Ribadisco che se ci fosse stata in vigore la legge voluta dal senatore Zanettin, avremmo dovuto spegnere i registratori. Dopo questa indagine ne iniziai un’altra, ma non feci in tempo a cominciare le intercettazioni: un confidente mi consegnò dei “pezzi per lavatrice”, che in realtà, una volta assemblati, risultarono essere una bomba cluster, ossia la famosa bomba a grappolo. Oltre ai pezzi di lavatrice, il confidente mi fornì i nomi di alcuni cittadini iracheni e italiani, residenti a Roma, implicati nel traffico delle bombe. D’urgenza ci recammo dal magistrato Domenico Sica, chiedendo con dettagliato rapporto di intercettare le utenze dei soggetti. Sica affidò l’indagine ai carabinieri che sequestrarono due container di “pezzi per lavatrice” in procinto di partire per l’Iraq.

Una domanda ingenua con tanta ilarità: ci sarà qualcuno che sta trafficando in armi da guerra? Se la risposta è sì, consiglio ai trafficanti, qualora avessero il dubbio di essere intercettati, di aspettare il 46esimo giorno per parlare liberamente, sia al telefono sia in macchina e in casa. Il che è tutto dire, esimio senatore Zanettin.

L'articolo Stop intercettazioni: perché la politica non dice chiaramente che lo scopo non è risparmiare? proviene da Il Fatto Quotidiano.