La Germania ha perso la stabilità
Olaf Scholz è arrivato a fine corsa. Il governo del cancelliere socialdemocratico tedesco è entrato in crisi proprio nelle ore in cui Donald Trump veniva rieletto presidente degli Stati Uniti. Per un’amministrazione americana in via di formazione ce n’è una tedesca in via di smantellamento. Con la cacciata dei liberali contrari a nuove spese in deficit, la coalizione «semaforo» non ha più la maggioranza al Bundestag e le opposizioni hanno spinto per elezioni anticipate in tempi rapidi. Le hanno chieste sia i cristiano democratici di Friedrich Merz sia i sovranisti di destra di AfD, formazioni con il vento in poppa. Ma anche il Bsw, il partito socialista e nazionalista fondato da Sahra Wagenknecht, già capogruppo dei social-comunisti della Linke. A picco nei sondaggi, i socialdemocratici non hanno invece fretta di tornare dagli elettori. Un assist inatteso al capo del governo è arrivato dalla signora Ruth Brand, presidente dell’Ufficio federale di statistica e massimo funzionario elettorale della Germania. Caduto il governo, Brand ha fatto sapere che ci sarebbero «rischi elevati che la pietra miliare della democrazia», ossia il processo elettorale, «e la fiducia nell’integrità delle elezioni possano essere violate», in caso di un ritorno accelerato alle urne. E che, complici le intoccabili vacanze di Natale, forse sarebbe mancata la carta per le schede, ha aggiunto subito tacciata dalle opposizioni di lavorare per la Spd mentre gli industriali della carta smentivano le sue parole.
Brand ha esagerato, hanno scritto in tanti, ricordandole che la Germania è la quarta economia globale - e la prima in Europa - che i tedeschi hanno fama di essere grandi organizzatori. La cronaca recente però è dalla parte della funzionaria «disfattista»: a settembre 2021 si erano celebrate le legislative in tutta la Germania e le regionali a Berlino. A causa di una serie di irregolarità (schede mancanti o sbagliate, file senza fine e seggi aperti al di fuori dell’orario stabilito) le regionali furono annullate e ripetute a febbraio (dando alla capitale il primo sindaco non «rosso» in 22 anni) mentre un altro mezzo milione di berlinesi dovette tornare al voto anche a febbraio 2024 per una replica parziale delle legislative. Alla mestizia del dibattito sulla presunta incapacità della nazione di predisporre consultazioni a breve ha messo poi fine lo stesso Scholz: si è detto pronto ad affrontare un voto di (s)fiducia in tempi brevi ed elezioni anticipate il prossimo 23 febbraio, ma la discussione segnala che la Germania ha smesso di credere in sé stessa.Nel Paese resta comunque diffusa la delusione per la fine della prima coalizione a tre nella sua storia. Per oltre due anni i partiti hanno litigato sulla gestione dell’economia e oggi i sondaggi sono impietosi. Secondo una rilevazione Insa per il tabloid Bild del 10 novembre, l’Spd del cancelliere avrebbe appena il 15 per cento dei consensi; meno della metà del 32 per cento attribuito alla Cdu/Csu di Merz e quattro punti meno di AfD, ormai secondo partito in Germania. Molto ridimensionati anche i verdi al 10 per cento mentre la new entry, il partito Bsw, sarebbe al 7 per cento. Sotto alla soglia di sbarramento del 5 per cento resterebbero i social-comunisti e i liberali, quest’ultimi puniti per aver provocato la crisi.
La Germania, in altre parole, si avvierebbe verso un periodo di maggiore instabilità, dovuto alla presenza di AfD sulla destra e del Bsw a sinistra, due partiti non ritenuti «potabili» dalle altre formazioni storiche perciò obbligate ad alleanze innaturali fra di loro come la coalizione semaforo. Se negli ultimi decenni Germania ha fatto rima con stabilità (Helmut Kohl è stato cancelliere per 16 anni, Gerhard Schröder per oltre sette e Angela Merkel per altri 16), la caduta anticipata del governo Scholz potrebbe essere la prima di una serie destinata a durare fino a un sostanziale riassetto del panorama politico.La Repubblica federale sta però attraversando una fase di ostinata stagnazione delle produzioni e le servirebbe un governo con le idee chiare. Il 30 ottobre, l’Istituto tedesco di studi economici (Diw) ha scritto che il suo barometro economico si è fermato a 85,4 punti, lontano quindi da quota 100, segnale di una crescita media dell’economia. Il terzo trimestre del 2024 è andato un po’ meglio del previsto, osserva il Diw, «ma ciò non dovrebbe ancora innescare un nuovo slancio. Il commercio estero accidentato continua a smorzare notevolmente le prospettive di crescita», ha scritto Geraldine Dany-Knedlik, responsabile Diw delle previsioni e della politica economica. «La domanda di prodotti “Made in Germany” rimarrà debole alla fine dell’anno, perché l’industria di esportazione tedesca beneficia a malapena della ripresa economica in altre nazioni industrializzate». L’arrivo a breve di Trump alla Casa Bianca non promette poi nulla di buono. Per Moritz Schularick, direttore dell’Istituto di economia globale di Kiel (Ifw) la sua vittoria corrisponde «all’inizio del momento economico più difficile nella storia della Repubblica federale tedesca. Oltre alla crisi strutturale interna, il Paese si trova ora ad affrontare massicce sfide di politica commerciale e di sicurezza estera per le quali non siamo preparati». Timori avventati? Forse, ma nel 2023 gli Stati Uniti si sono confermati primo paese per l’export tedesco per il nono anno consecutivo assorbendo beni e servizi per 158 miliardi di euro pari al 10 per cento dell’export della Repubblica federale. I tedeschi hanno invece importato dagli Stati Uniti solo per 94,7 miliardi chiudendo l’anno con un surplus per 63,3 miliardi: The Donald vorrà riequilibrare la bilancia. Al di là, poi, dei rischi possibili ci sono i guai correnti: nel primo trimestre dell’anno il Pil è cresciuto dello 0,2 per cento, è calato dello 0,3 nel secondo quarto ed è di nuovo cresciuto dello 0,2 fra luglio e settembre; troppo poco, come spiegato anche dal Diw, per tirare il Paese fuori dalla recessione del 2023 (Pil –0,3 per cento, il peggiore nell’eurozona). A salvare la Germania da guai più grossi è il mercato del lavoro. «Nonostante un numero leggermente crescente di disoccupati, l’occupazione rimane a un livello fortemente elevato». Le ultime relazioni trimestrali delle maggiori case automobilistiche, con fatturato e utili in picchiata, fanno però temere per la tenuta anche della leva occupazionale. Certificando la difficoltà dell’automotive, l’8 novembre l’Ifo di Monaco ha scritto: «Il 44 per cento delle aziende è interessato da una carenza di ordini. L’ultima volta che è stata registrata una cifra così alta è stato nel luglio 2020».
L’esecutivo Scholz però non è solo azzoppato: in caso di nuove elezioni lo stesso cancelliere potrebbe lasciare mentre la Spd si affiderebbe al ben più popolare ministro della Difesa Boris Pistorius. Comunque vada per diversi mesi un nuovo governo non ci sarà e difficilmente quello nuovo avrà una maggioranza coesa, tanto più se i Liberali, tradizionale stampella della Cdu, resteranno fuori dal Bundestag. Qualora ce la facessero, un’alleanza Cdu-liberali non arriverebbe comunque al 40 per cento e dovrebbe cercarsi un partner al Bundestag fra verdi e Spd: si rischierebbe allora un nuovo tira e molla tra chi intende stimolare l’economia abbassando le tasse (la Cdu) e chi punta a fornire aiuti a pioggia incentivando, per esempio, l’acquisto di nuove auto (la Spd), magari elettriche per ottenere il supporto anche dei verdi, più amici della rotaia e delle tasse sui carburanti. E poi: politica di rigore o politica di espansione? Emissioni zero subito o transizione ecologica lenta? Più welfare o più difesa? Sostenere le grandi imprese o le Pmi? E infine: aiutare ancora l’Ucraina o ammorbidire l’atteggiamento verso la Russia (per tornare a comprare il suo gas) come chiede un quarto dell’elettorato che vota per AfD e Bsw? Se la Cdu vincerà ma dovrà allearsi con uno o più partiti di sinistra c’è da immaginare che la bilancia penderà, ma solo un poco, dalla parte di politiche liberali. Instabile e indecisa, la Germania, insomma, rischia di perdere un’altra corsa.