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Buoni pasto: tetto del 5% alle commissioni, ma welfare aziendale a rischio?

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Buoni pasto un po’ salvi e un po’ no. Dal primo gennaio tetto massimo del 5% anche nel privato (come già avviene nel pubblico dal 2022) alle commissioni applicate dai gestori dei buoni pasto, ma i ticket già in circolazione possono restare alle condizioni di oggi fino al 31 agosto 2025. Il via libera in Commissione Attività Produttive all’emendamento di Fratelli d’Italia al ddl Concorrenza mette fine, con un compromesso, ad una battaglia in corso da tempo tra i quattro protagonisti della vicenda: i datori di lavoro (circa 300mila aziende), i lavoratori (3,5 milioni a fine 2023), le società emittrici di ticket e gli esercizi commerciali dove vengono accettati e utilizzati. Il provvedimento, accolto come una vittoria da Federdistribuzione, Confcommercio e Ancc-Coop, introduce un principio di equità tanto atteso, ma porta con sé anche dubbi e preoccupazioni per gli effetti sul sistema del welfare aziendale.

I buoni pasto, utilizzati da circa 300mila aziende e milioni di lavoratori, rappresentano uno strumento cruciale di welfare aziendale in Italia. Consentono ai dipendenti di acquistare generi alimentari al supermercato, pagare pasti nei ristoranti o consumazioni nei bar. Il meccanismo è semplice: i datori di lavoro acquistano i buoni dalle società emettitrici, le quali stipulano convenzioni con gli esercenti che li accettano come forma di pagamento. Tuttavia, agli esercizi non viene mai riconosciuto il 100% del valore nominale del ticket: una parte, spesso tra il 10% e il 20%, viene trattenuta dalle società emettitrici, come commissione. Con il nuovo tetto, questa percentuale non potrà più superare il 5%, rendendo più sostenibile per bar, ristoranti, supermercati e altri esercizi commerciali accettare i buoni. La misura è stata infatti pensata per ridurre i costi che stavano spingendo molti esercenti a rifiutare i ticket, compromettendone l’efficacia come strumento di welfare.

L’imposizione del limite alle commissioni rappresenta dunque un’opportunità per creare un sistema più equo, ma la sua attuazione potrebbe avere risvolti che ricadranno proprio i beneficiari finali: i lavoratori.
Dal lato degli esercenti, infatti, il tetto riequilibra il mercato e garantisce una maggiore sostenibilità per tutti gli operatori. Secondo l’Associazione Nazionale delle Società Emettitrici di Buoni Pasto (Anseb) invece il provvedimento rischia di destabilizzare l’intero sistema che vale 4miliardi di euro l’anno. Secondo le loro stime, la misura potrebbe costare 180 milioni di euro annui alle aziende private, con un impatto diretto su circa 300.000 contratti in essere. Le società emettitrici, infatti, percependo meno guadagni da ogni buono, potrebbero aumentare i costi di fornitura per i datori di lavoro. Questo scenario potrebbe tradursi in due esiti: un incremento della spesa per le aziende, qualora decidessero di mantenere invariato il numero di buoni forniti ai dipendenti, oppure una riduzione del numero di buoni distribuiti, compromettendo il livello di welfare aziendale. Quindi conseguenze dirette sui lavoratori.

Un ulteriore punto critico riguarda i tempi di applicazione del tetto. Per i buoni già emessi, le condizioni attuali resteranno valide fino al 31 agosto 2025. I nuovi ticket emessi dal 1° gennaio 2025 saranno invece soggetti al limite del 5%, mentre per i contratti già in essere sarà possibile rinegoziare senza oneri o penali dal settembre dello stesso anno. Questo lungo periodo transitorio, salutato come un compromesso necessario, ha però sollevato perplessità da parte di alcune associazioni, come Ancc-Coop, che lamentano l’eccessiva dilazione dei tempi.

Il tetto al 5% rappresenta un passo avanti verso una maggiore uniformità, ma non risolve del tutto i nodi strutturali del mercato dei buoni pasto. Il provvedimento da un lato promette di alleggerire la pressione sugli esercenti e quindi allarga la platea dei luoghi che accettano i ticket, ma contemporaneamente rischia di tradursi in un ridimensionamento del welfare per i lavoratori a causa dei prezzi più alti per le aziende, soprattutto nelle piccole e medie imprese.