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Emanuela Orlandi, parla l’ex capo della Gendarmeria Vaticana: “La tomba De Pedis in Sant’Apollinare? Non so perché era lì. Il Vaticano era a conoscenza di molte cose importanti”

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“Non so per quale ragione la tomba di uno fra i più grandi criminali della Capitale si trovasse lì”: a dirlo è Domenico Giani, l’ex comandante della Gendarmeria Vaticana, ascoltato dalla Commissione parlamentare d’inchiesta che indaga sul mistero di Emanuela Orlandi, la cittadina vaticana, figlia di un messo papale, scomparsa il 22 giugno del 1983.

La sepoltura di “Renatino”
Il criminale a cui si riferisce Giani è Enrico “Renatino” de Pedis. Un nome che spesso ricorre in questa vicenda: dalla richiesta del passaporto falso per il trasferimento a Londra (che avvalorerebbe la pista inglese) alla sua presenza al momento del rapimento davanti al Senato. Nel 2012, Giani era a capo della Gendarmeria dello Stato Vaticano, quando fu disposta la traslazione della salma del boss testaccino (indicato come il capo della Banda della Magliana dalla letteratura criminale), tumulato all’interno della cripta della Basilica di Sant’Apollinare.

Giani, davanti alla commissione, ha preso le distanze da quest’evento della sepoltura di de Pedis: “Non me ne sono mai occupato, non faceva parte dei miei compiti: se non fosse emerso dai giornali, forse sarebbe ancora lì”. La notizia di de Pedis sepolto in una basilica pontificia era già emersa nel 1995, tra gli addetti ai lavori, e divenne oggetto di indagine del magistrato Andrea De Gasperis. Ma fu nel 2005, con l’ormai nota telefonata al programma televisivo “Chi l’ha visto” che la tumulazione di de Pedis venne collegata alla sparizione di Emanuela Orlandi, quando l’anonimo telefonista disse in diretta televisiva: “Se volete trovare la soluzione al caso di Emanuela Orlandi, andate a vedere chi è sepolto nella basilica di Sant’Apollinare e del favore che Renatino fece al cardinal Poletti (Ugo Poletti, in quegli anni vicario del Papa, ndr) all’epoca”. Giani ha commentato così quei fatti: “Credo sia un fatto grave, ma detto questo non so perché c’era de Pedis, lì. Nel momento in cui i superiori della Segreteria di Stato si sono resi conto di questa cosa, è stato detto: questa tomba qui non ha titolo di starci, ed è stata portata via“.

Lo scambio fra Santa Sede e Procura di Roma
Per risolvere il problema della estumulazione della tomba di De Pedis da Sant’Apollinare, fu fissato un primo incontro, il 25 gennaio del 2012, tra Giani e il procuratore Giancarlo Capaldo, titolare della seconda e penultima inchiesta su Emanuela Orlandi (precedente a quest’ultima ancora in corso). In tutti questi anni trascorsi dalla chiusura dell’inchiesta, Capaldo ha sempre dichiarato che quando all’epoca incontrò Giani e il suo vice Costanzo Alessandrini, entrambi gli chiesero l’aiuto della Procura per aprire la tomba e togliere la Santa Sede dall’imbarazzo di aver fatto tumulare un criminale in una Basilica. Ed è stato lo stesso procuratore Capaldo a rimarcarlo, nel corso di una puntata del programma Atlantide, il 22 aprile del 2023: “In cambio della collaborazione della Procura nell’aprire e spostare la tomba, gli chiesi collaborazione nel mettere a disposizione dell’autorità giudiziaria notizie su Emanuela che ritenevo il Vaticano potesse avere. Mi dissero che avrebbero chiesto a chi di dovere, presumo al segretario di Stato per poter avere un’autorizzazione a collaborare con noi. I due emissari tornarono in Procura, accettarono di collaborare se noi l’avessimo tolti dall’imbarazzo di sgomberare la tomba di De Pedis, in cambio di informazioni su Emanuela o sui suoi resti. Io dedussi che loro sapessero che Emanuela non fosse più viva. Non chiedevo loro di sapere tutto quanto fosse accaduto ma ero convinto che il Vaticano era a conoscenza di molte cose importanti”.

L’audizione di Giani
Alla commissione che gli ha chiesto se, sulla questione della tomba, con la Procura di Roma ci sia stata una vera e propria trattativa, Giani ha risposto: “Non può essere una trattativa nella misura in cui quello che ho fatto con Capaldo, l’ho fatto in tantissime altre occasioni in cui un organo di polizia e un organo di informazione, come è la Direzione dei Servizi di Sicurezza del Vaticano, mantiene relazioni informali, ancorché ufficiali, con altri organi dello Stato”. Secondo quanto ricordato da Giani, nel corso del secondo incontro, avvenuto il 1 febbraio del 2012, i tre parlarono delle modalità di traslazione della salma di De Pedis: “Fino a quel momento c’era stato un rapporto cordiale e di collaborazione, poi si notò che era cambiato qualcosa. Tanto che l’8 maggio 2012 fu eseguito un sopralluogo da parte dei magistrati presso la Basilica senza dare alcuna comunicazione: potevano farlo sapere in Vaticano, come forma di cortesia”. Un altro incontro ancora avvenne anche con Giuseppe Pignatone, all’epoca procuratore mentre ora è a capo del Tribunale Vaticano.

Giani lo convocò perché dispiaciuto in merito al fatto che la Procura di Roma pare non lo avvisò dell’inizio dei lavori di traslazione della salma: “Avevo offerto una collaborazione leale, ma sono venuto a sapere della estumulazione della tomba da padre Federico Lombardi, che lo seppe dalla stampa, noi eravamo ad Arezzo. Così ho chiamato Pignatone: per me si trattava di un comportamento scorretto in ambito di cortesia istituzionale. Sono andato a dirgli: noi vogliamo togliere la tomba, tu lo puoi fare senza di noi, ma ti garantiamo massima collaborazione, poi sul perché quella tomba fosse lì io me lo potrei pure porre il perché, sono basito di ciò, non ce la dovevano mettere, è una cosa che grida scandalo ma l’incarico che io avevo ricevuto era quello di occuparmi di offrire collaborazione alla estumulazione”. Giani ha chiarito un altro dettaglio che lo avrebbe offeso ed è il termine con cui è stato più volte indicato dal procuratore Capaldo: “Quando ha usato il sostantivo emissario sono rimasto molto basito perché non sono un emissario, ancorché non sia una parola offensiva di per sé, ma ero un capo della polizia, un servitore dello Stato, non l’ho trovata una bella cosa, mi ha dato fastidio, poi tutto il resto è comprensibile”.

L’idea di Giani sulla vicenda Orlandi
Ho abitato in Vaticano dal 1999 al 2020, in un certo periodo in una palazzina vicina a Sant’Anna, adiacente alla palazzina dove vive la signora Maria Orlandi, ebbi modo di conoscere il signore Ercole Orlandi quando arrivai in Vaticano, quando seppe che ero stato prima nella Guardia di Finanza e venivo anche dai Servizi, mi chiese se sapevo qualcosa ma io non sapevo nulla di questo caso, ero entrato in Guardia di Finanza nel 1991 – ha raccontato Giani -. Anche tra le nostre famiglie c’è stato grande affetto, la signora Maria, la mamma di Emanuela, aveva avuto sempre grande affetto verso mia figlia, c’è sempre stata questa attenzione. Tuttavia, sulla sorte di Emanuela, io non so niente”, ha fortemente ribadito Giani di fronte alle tante domande su che idea si sia fatto della vicenda. “In quel momento lì con Agcà si disse del terrorismo internazionale, poi è venuta fuori la pista della criminalità organizzata poi ho sentito di un’altra pista ma io non posso dare risposte, come poliziotto non posso avere opinioni se non ho elementi. Quando io sono arrivato, tante persone che c’erano al tempo non c’erano più, quello che ho letto io è quello che ha potuto leggere chiunque, se mi fate una domanda di carattere più generale, io in coscienza non so dare una risposta, quando ero in Finanza ci è stato insegnato di non perseguire mai una sola pista, ma in quel momento lì io non c’ero, le indagini erano condotte dall’Italia e io credo in buona fede”. Giani ha comunicato di essere stato convocato e interrogato dalla Procura di Roma dove attualmente c’è una delle tre indagini aperte sulla sparizione di Emanuela Orlandi.

“Una ricostruzione storica”
Come ha sottolineato Giani nel corso del suo intervento, non esisterebbe alcuna indagine in Vaticano su Emanuela Orlandi, precedente all’inchiesta aperta nel 2023 almeno, come invece lo stesso Capaldo aveva più volte ipotizzato, di contro. “Il Vaticano non ha aperto (all’epoca, ndr) delle indagini, ma voleva avere informazioni sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, una ricostruzione storica. In Vaticano c’è un segreto istruttorio e investigativo, bisogna rivolgersi all’attività giudiziaria vaticana”. Ma quando gli è stato chiesto, allora, per quale motivo fosse stato convocato, in quegli anni (intorno al 2012) monsignor Valentino Miserachs Grau, maestro presso scuola di musica “Tommaso Ludovico da Victoria” di canto corale, ovvero dell’ultima lezione a cui prese parte Emanuela prima di sparire nel nulla, Giani ha spiegato: “Nel 2011-2012 è stata fatta una raccolta di informazioni, confluita nella parte di cui si sta occupando attualmente l’autorità giudiziaria vaticana – ha dichiarato –. Io sono stato chiamato da monsignor Georg per fare una ricostruzione storica dei fatti che riguardavano la vicenda di Emanuela. Ma non era un’attività giudiziaria, era un’attività informativa per ricostruire una serie di elementi”. Secondo Giani, quindi, quella della ricostruzione storica è soltanto una delle richieste che furono avanzate da padre Georg Gaenswein e nell’ambito di questa ricostruzione, alcune persone vennero ascoltate solo per mettere insieme dei tasselli. Tasselli che si spera potranno essere ancora utili al Vaticano e alla Procura di Roma che da più di un anno stanno indagando per risolvere questo impenetrabile mistero.

Le parole dell’avvocato della famiglia Orlandi
E sulla convocazione di Giani interviene l’avvocato della famiglia di Emanuela Orlandi, il legale Laura Sgrò che attraverso una nota comunica: “Dall’audizione del dottor Domenico Giani, sono emerse due verità oramai incontrovertibili, delle quali Pietro Orlandi riferisce da anni. La prima è che il Comandante Giani incontrò più volte nel 2012 il dottore Capaldo; la seconda è che esiste un fascicolo avente ad oggetto Emanuela Orlandi in Vaticano, di “ricostruzione storica”, che non può che essere frutto di una attività di indagine. Dall’audizione si è appreso, inoltre, che il Comandante si è sentito offeso dalla Procura di Roma per non essere stato informato tempestivamente da quest’ultima della estumulazione di De Pedis e anche per essere stato definito “emissario” dal dottore Capaldo. Non una parola per chi invece, offeso lo è da quarantuno anni, gli Orlandi, ai quali il Comandante non ha ritenuto di dovere dire, già dal 2017, di essere stato lui a incontrare il dottore Capaldo quando i familiari di Emanuela, con atti formali, gli avevano chiesto di indagare su questo incontro tra il procuratore Capaldo e due misteriosi emissari vaticani. E neppure una parola sul fatto che di questa “ricostruzione storica”, che adesso sarebbe nelle mani del Promotore di Giustizia, gli Orlandi chiedono di potere avere copia, da molti anni prima che venisse aperta una inchiesta vaticana. Collaborare significa lavorare insieme, e, purtroppo, non è stato questo il caso. La famiglia Orlandi ringrazia la Commissione per il lavoro che sta svolgendo e si augura che possano essere fatti quanto prima altri passi avanti nella ricerca della verità sul rapimento di Emanuela”.

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