Agenti uccisi in Questura a Trieste, causa allo Stato promossa dalla famiglia Demenego
Nuovo fronte giudiziario sull’omicidio in Questura del 4 ottobre 2019, quando persero la vita i giovani poliziotti Matteo Demenego e Pierluigi Rotta. Dopo l’assoluzione dell’assassino Alejandro Augusto Stephan Meran in primo grado e in Appello – confermata lo scorso fine febbraio dalla Cassazione – la famiglia di uno dei due agenti uccisi, i Demenego, ha intentato una causa civile contro lo Stato. Il ministero dell’Interno, per la precisione.
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La conferma
La voce circolava in questi giorni nei corridoi del Tribunale e trova ora conferma nelle parole del padre di Matteo: «Sì, è vero», afferma Fabio Demenego. Poche parole, le sue, per spiegare cosa ha spinto la famiglia a questo passo processuale. Perché per lui, come immaginabile, è riaprire un vuoto, un dolore, mai sopito.
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Andare fino in fondo
«Mio figlio è stato ucciso dentro a una Questura con la pistola di un collega – spiega – e sappiamo tutti come è andata a finire la causa penale. La responsabilità, anche come datore di lavoro, qualcuno se la deve prendere. Mi sembra una cosa corretta, non può finire tutto all’acqua di rose. Come famiglia abbiamo quindi deciso di continuare – afferma ancora il padre – infatti avevamo detto subito che l’intenzione nostra sarebbe stata quella di non mollare, ma di andare fino in fondo. Se c’è una responsabilità da parte del ministero, il ministero pagherà. Noi ci basiamo sugli atti del processo penale. Per me affrontare questa cosa è devastante – conclude – è una storia che non si chiude mai. Io sto ancora male».
La pratica è in mano al legale a cui si è appoggiata la famiglia, l’avvocato Andrea Zanovello del Foro di Vicenza.
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La decisione della Cassazione
L’ultimo round nelle aule di Tribunale penali si era chiuso a febbraio: la Procura generale della Cassazione aveva chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso contro la sentenza di assoluzione avanzato dal procuratore generale della Corte di appello di Trieste Carlo Maria Zampi. Una linea che la Corte Suprema, a Roma, aveva poi confermato accogliendo il parere della sostituto procuratore generale della Cassazione Antonietta Picardi, che si era appunto pronunciata per l’inammissibilità.
Le assoluzioni
E questo dopo le assoluzioni in primo grado (maggio 2022) e in secondo grado (aprile 2023): all’assassino dei due poliziotti, il dominicano Meran (difeso dagli avvocati Alice e Paolo Bevilacqua), era stata infatti riconosciuta l’incapacità di intendere e di volere, anche se le perizie svolte durante l’intero iter giudiziario erano approdate a esisti diversi.
Incapace di volere
Il dominicano era stato considerato “incapace di volere”, perché ritenuto malato psichiatrico. Era stato riscontrato «un vizio totale di mente», come rilevato nel processo di primo grado dalla perizia psichiatrica del dottor Stefano Ferracuti (ordinario di Psicopatologia Forense della facoltà di Medicina dell’Università La Sapienza di Roma).
L’incarico allo specialista era stato assegnato dalla Corte su richiesta degli avvocati Alice e Paolo Bevilacqua, difensori di Meran. Ferracuti aveva valutato il dominicano come «schizofrenico». Nel momento in cui aveva commesso i fatti, sarebbe stato in preda a una condizione «di delirio persecutorio tale da escludere totalmente la capacità di volere».
La prima perizia
Una perizia, questa, che aveva ribaltato l’esito di quella disposta in sede di incidente probatorio firmata dal gruppo nominato dal gip Massimo Tomassini (nell’équipe anche Mario Novello, psichiatra, già responsabile del Dipartimento di Salute mentale Medio Friuli). Lo studio, in quel caso, aveva concluso per una «parziale» incapacità. Ciò avrebbe significato una condanna certa.
Vista la pericolosità sociale, Meran era stato trasferito dal carcere di Verona a una Rems (Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza) che si trova in provincia di La Spezia. —
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