In attesa di Trump, Israele mette le mani avanti: “No allo stato di Palestina”
In vista del dopoguerra, mentre l’Idf costruisce segretamente avamposti stabili nel centro di Gaza, gli Stati Uniti hanno presentato ad Abu Mazen una proposta sulla futura amministrazione della Striscia che include una forza multinazionale.
Nel frattempo, l’amministrazione Biden sta valutando misure severe contro Israele durante il periodo di transizione, tra cui restrizioni sulle forniture di armi e un possibile mancato veto alle risoluzioni anti-Israele al Consiglio di sicurezza dell’Onu. Ma i democratici stanno per lasciare la Casa Bianca e alla vigilia dell’avvento di Trump, il neo ministro degli Esteri di Netanyahu, Gideon Saar, ha fatto sapere a scanso di equivoci che il suo governo non ritiene «realistica» la creazione di uno Stato palestinese.
Intanto da Ramallah non è partita nessuna risposta al progetto portato dal sottosegretario di Stato americano Barbara Leaf, ma fonti vicine al presidente dell’Anp riferiscono ai media che il piano non sarebbe di suo gradimento. Nonostante l’Autorità palestinese vedrebbe cambiare il suo status diventando il punto di riferimento dei Paesi coinvolti negli sforzi per istituire un’amministrazione civile a Gaza: all’Anp verrebbe attribuita la responsabilità di attuare riforme concrete, costruire istituzioni, e sarebbero restituiti i ministeri per la gestione di acqua, banche, energia, commercio e risorse per gli ospedali. Nessun commento è arrivato da Israele. Dove però i media hanno svelato con immagini eloquenti come l’esercito abbia trasformato il centro di Gaza in una enclave militare israeliana. I reporter di Ynet descrivono l’ampliamento del corridoio Netzerim: lungo 8 chilometri e largo 7, 56 chilometri quadrati con postazioni fisse, una lunga fila di bandiere israeliane a lato dell’asse – già ribattezzato Israel flag boulevard – fino al grande avamposto sulla spiaggia, a sud del quartiere della Torre di Gaza di Sheikh Ejlin. «Tutto sarà smontato e rimosso rapidamente», ha promesso l’Idf. Nel corridodio però, spiega Ynet, c’è una base vera e propria, recinti, stanze per gli interrogatori, strutture di detenzione temporanea, farmacia, complessi residenziali modulari per i soldati delle due brigate di fanteria e riserva corazzata che controllano a nord e sud. Tutt’intorno le truppe stanno scavando trincee.
Sul fronte libanese, i progressi nei negoziati per il cessate il fuoco sono stati confermati da Saar, ma smentiti in serata dal ministro della Difesa Israel Katz. Mentre Vladimir Putin a sorpresa è diventato l’attore inaspettato dei colloqui internazionali per fermare la guerra in Libano. Nonostante le riserve delle forze di sicurezza, dicono i commentatori locali, è probabile che Israele sia interessato a rinnovare il partenariato politico con Mosca.
Secondo le valutazioni, la Russia, che ha una grande presenza militare in Siria, dovrebbe impedire che il Paese resti una delle principali rotte del contrabbando di armi dall’Iran al Libano. Putin, oltre ad avere interesse a ridurre i raid israeliani, che minacciano la stabilità dell’amico Assad, ha anche motivo per non volere attacchi israeliani in territorio siriano: i bombardamenti sulla città portuale di Latakia che hanno colpito magazzini di armi iraniane sono avvenuti a due passi dalla grande base russa di Chamayim. Le trattative tuttavia non fermano le operazioni militari sul terreno. Dove le truppe di Herzi Halevi sembrerebbero aver già ripulito dalle strutture di Hezbollah la prima fascia di 5 chilometri dal confine con Israele verso il Libano e sarebbero pronte ad avviare la seconda fase per spingere il gruppo sciita ancora più all’interno.
La risposta alla pressione militare oggi è stata particolarmente rabbiosa: Hezbollah ha martellato la baia di Haifa, Acri, e la Galilea con un centinaio di razzi tirati in sequenza, provocando feriti, incendi e distruzione.
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