Migranti in Albania, la destra attacca ancora i giudici dopo il nuovo stop. Delmastro: “Il progetto continua, non ci arrendiamo”
“L’ennesimo pronunciamento del Tribunale di Roma, Sezione immigrazione, per un’altra volta impedisce, non al governo, non a Salvini, a Piantedosi o alla Meloni, impedisce all’Italia di espellere alcuni immigrati irregolari“. Da Bologna, dov’è intervenuto all’evento di chiusura della campagna del centrodestra per le Regionali, il vicepremier Matteo Salvini torna a scagliarsi contro i giudici dopo la nuova ordinanza del Tribunale di Roma che ha liberato gli ultimi sette migranti portati in Albania. “Questi sette clandestini, egiziani e bengalesi, che erano stati portati in Albania come da legge del governo per essere espulsi e che per colpa di questa sentenza torneranno in Italia liberi di camminare per Bologna per Parma o per Ravenna, ma se uno di questi sette la settimana prossima compie un reato? Se uno di questi sette spaccia, scippa, stupra o ammazza chi ne dovrebbe rispondere? Voi o chi lo ha lasciato libero? È arrivato il momento di approvare la separazione delle carriere e la responsabilità civile personale dei giudici che sbagliano, se sbagli paghi, però di tasca tua, non a carico dei cittadini italiani”, sbraita il leader leghista. Agitando pure una teoria del complotto: “Nessuno mi toglie l’idea che quelle sentenze servano alle cooperative rosse per continuare a fare soldi sulla pelle di quella gente“.
Salvini accusa i giudici di andare in tribunale “per portare la loro ideologia, che è la loro bandiera rossa, che è la tessera del Partito democratico”. Lo stesso concetto, pur con parole più “pettinate”, lo esprime l’altro vicepremier, il segretario di Forza Italia Antonio Tajani: “Ci sono alcuni magistrati che stanno cercando di imporre la loro linea politica al governo. Questo non è veramente accettabile. Io rispetto tutte le decisioni della magistratura: non faccio polemiche, non offendo nessuno. Dico soltanto che è una scelta che va contro la tripartizione dei poteri”. Tajani rimprovera alle toghe di aver esorbitato dal loro ruolo: “Non è un magistrato che decide qual è il Paese sicuro, perché non lo sa, non si occupa di queste cose”. Mentre da Fratelli d’Italia il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro sembra annunciare che i trasferimenti nei centri albanesi continueranno: “Afflosciata dai risultati elettorali e afona da mesi, l’opposizione si insuperbisce per le sentenze di un segmento militante della magistratura e chiede al governo di archiviare il progetto Albania. Il Governo non condivide le sentenze, le impugnerà e continuerà nel progetto di presidio dei confini esterni. Siamo stati eletti per contrastare l’immigrazione irregolare e disarticolare la disumana tratta di schiavi lungo il Mediterraneo e non ci arrenderemo. La sinistra plachi i bollori entusiastici di queste ore: non sarà un segmento militante della magistratura a decidere le politiche migratorie dell’Italia”.
In realtà però i giudici di Roma non hanno “deciso” nulla: hanno interrogato la Corte di giustizia europea sulla compatibilità dell’ultimo decreto del governo con il principio enunciato dalla stessa Corte Ue, che non ammette la designazione di Paesi sicuri escludendo parti di territorio. A ricordare ancora una volta questo semplice concetto sono proprio i rappresentanti del mondo delle toghe, a partire dal segretario dell’Associazione nazionale magistrati Salvatore Casciaro: “La primazia del diritto dell’Unione europea è l’architrave su cui poggia la comunità delle corti nazionali e impone al giudice, quando ritenga la normativa interna incompatibile con quella dell’Unione, di applicare quest’ultima o, in caso di dubbio, di sollevare rinvio pregiudiziale, cosa che è stata fatta in questo caso dal Tribunale di Roma. Non ci si può quindi lamentare del fatto che i giudici fanno il loro dovere né dare loro la colpa di inciampi nel perseguimento di politiche migratorie che spetta ovviamente al governo decidere ma che non possono prescindere del quadro normativo europeo e sovranazionale nel quale si collocano”, sottolinea. A ribadirlo anche Stefano Musolino, procuratore aggiunto di Reggio Calabria e segretario della corrente progressista di Magistratura democratica: “Noi siamo giudici, ci limitiamo a rispettare le leggi. Il problema che abbiamo in questo caso è che c’è una normativa eurounitaria che prevale su quella nazionale”, dice a Zapping su Rai Radio 1.
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