Il non senso di parlare dell’invio delle ricette via Whatsapp, vista la sovranità del dato
Ci verrebbe da dire che, al netto dei malfunzionamenti o delle situazioni di sospensione che si sono verificate anche in queste ultime settimane, se c’è un modo per favorire la transizione digitale è quello di affidarla a delle società o a degli enti che operino all’interno del territorio nazionale, che abbiano una struttura informatica autonoma e che siano responsivi in caso di eventuali problemi. In Italia si è cercato di percorrere questa strada per quanto riguarda il processo di digitalizzazione e di dematerializzazione di alcuni passaggi burocratici del sistema sanitario nazionale. Il progetto SistemaTS (Sistema Tessera Sanitaria), infatti, è stato interamente gestito da Sogei, la partecipata del ministero dell’Economia e della Finanza che offre all’apparato amministrativo anche altri servizi digitali (come, ad esempio, quello della gestione del portale dell’Agenzia delle Entrate). In questo modo, si è cercato di rispettare un principio che dovrebbe essere assoluto: quello della sovranità del dato.
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Sovranità del dato sanitario: sarebbe un errore affidarsi a WhatsApp
Il SistemaTS rileva telematicamente le prescrizioni e le prestazioni farmaceutiche e ambulatoriali erogate all’interno del sistema sanitario nazionale. Si tratta di un vero e proprio ambiente comune, attraverso cui gestire la tessera sanitaria, la ricetta elettronica, l’anagrafe nazionale degli assistiti, i dati di spesa sanitaria a supporto della dichiarazione dei redditi precompilata, le esenzioni sanitarie per reddito, i certificati di malattia, il fascicolo sanitario elettronico. Inoltre, SistemaTS è stato importante e fondamentale anche nel corso dell’emergenza Covid-19 e nella sua gestione in un momento in cui i cittadini italiani si sono trovati in uno stato di lockdown.
In modo particolare, la ricetta elettronica e il fascicolo sanitario elettronico sono stati potenziati dall’ultima legge di bilancio. Anche per andare incontro a obiettivi e standard europei, infatti, il legislatore ha previsto che diverse funzionalità che – in passato – erano rimaste fuori dal sistema di digitalizzazione, dal 2025 in poi vi rientreranno a pieno regime. E se – fino a questo momento – si è puntato molto su un processo articolato, resiliente e made in Italy come quello messo in atto da Sogei, sarebbe stato un clamoroso autogol affidarsi a una piattaforma di messaggistica come WhatsApp che non racchiude in se stessa, di certo, quelle caratteristiche di nazionalità, garanzia di autonomia e prossimità che si richiedono a chi gestisce dei dati sensibili nel nostro Paese (e – in generale – all’interno dell’Unione Europea).
Abbiamo stigmatizzato più volte le pubbliche amministrazioni che fanno ricorso a servizi collegati a Big Tech per le azioni digitali. La scuola, ad esempio, si è affidata sempre di più ai servizi di Google e di Microsoft per effettuare operazioni di didattica digitale (didattica a distanza, ma anche didattica integrata a distanza). Sarebbe fondamentale, poi, permettere alle strutture sensibili italiane di ottenere una connessione stabile anche in aree rurali attraverso una rete made in Italy (senza, ad esempio, ricorrere alle varie Starlink di Elon Musk). Il sistema sanitario nazionale, sebbene con alcuni limiti infrastrutturali che dovrebbero essere assolutamente risolti per poter dar vita a un case study degno di nota, fino a questo momento ha cercato il più possibile di far restare i dati all’interno del territorio italiano. Non si capisce perché, nell’ottica di un potenziamento della digitalizzazione, si dovrebbero andare a trovare delle soluzioni altrove.
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