La sanzione a Christian Raimo riguarda tutti: serve una risposta coesa
Faccio una piccola deroga al fatto che da 6 anni mi occupo molto più di autonomia differenziata che di politiche scolastiche (considerando che le regioni a statuto ordinario – se non fermiamo la legge Calderoli – potranno avere potestà legislativa esclusiva ANCHE sul sistema di istruzione, oltre che su altre 22 materie altrettanto pesanti). La storia di cui sto per parlare – peraltro – non è estranea a quanto succederebbe se le regioni legiferassero autonomamente sulla scuola, e gli uffici scolastici regionali (USR) decidessero univocamente del trattamento di riservare a docenti da loro reclutati, valutati e sottoposti a contratti regionali. Questa vicenda riguarda letteralmente ognuno/a di noi; e – al tempo stesso – uno strumento dell’interesse generale: la scuola.
Christian Raimo è da qualche giorno oggetto di una sanzione disciplinare che non trova precedenti, considerandone le motivazioni: la sospensione dall’insegnamento per 3 mesi a metà salario. Tale provvedimento, erogato direttamente dall’USR del Lazio, è conseguenza di alcune dichiarazioni del docente romano – saggista, esponente politico, commentatore su varie testate – che risalgono allo scorso settembre quando – nel corso della festa nazionale di AVS, organizzata a Roma – Raimo ha criticato duramente il ministro del (sic!) MIM (Ministero dell’Istruzione e del Merito), il leghista Valditara.
Nel corso della mia lunga esperienza di studiosa delle politiche scolastiche, iniziata nel 2000, che ha intercettato dicasteri di centrodestra e di centrosinistra (Luigi Berlinguer, De Mauro, Moratti, Fioroni, Gelmini, Profumo, Carrozza, Giannini, Fedeli, Bussetti, Fioramonti, Azzolina, Bianchi, Valditara), ho scritto centinaia di articoli, a partire dalla testata che più di ogni altra ha dedicato spazio alla scuola, l’Unità di Furio Colombo, vicedirettore Antonio Padellaro. Ho commentato non solo quelle che sono state le riforme più violente perpetrate contro la scuola della Repubblica (Berlinguer, Moratti, Gelmini e Fedeli, con la sedicente “Buona Scuola”), ma anche gli scontri ideologici più gravi, in una sequenza agghiacciante di provvedimenti che hanno letteralmente e intenzionalmente smontato la scuola degli artt. 3, 9, 33 e 34 della Costituzione, coinvolgendomi come lavoratrice della scuola e militante. Mai, dico mai – e non certo perché io abbia usato toni concilianti nei confronti dei ministri – ho avuto a che fare con una situazione analoga a quella che sta ora colpendo Christian, già precedentemente oggetto delle “attenzioni” dell’USR; una situazione che si colloca in continuità con una certa tendenza, che va a completare il quadro allarmante di una restrizione progressiva degli spazi di libera espressione del pensiero.
A partire da macrofenomeni drammatici, quale il sedicente “pacchetto sicurezza”, passato al Senato dopo l’approvazione alla Camera (che per fortuna sta sollecitando i naturali anticorpi di cittadini/e realmente democratici, che riconoscono nella partecipazione e nel conflitto la linfa vitale della democrazia stessa), la contrazione e il restringimento della libera espressione sembra pervasivo. A scuola assistiamo al ricorso sempre più costante da parte di dirigenti scolastici e USR a contestazioni di addebito disciplinare nei confronti di docenti, facendo appello al Codice di comportamento dei dipendenti pubblici: ai dipendenti della Pa si impone di non ledere l’immagine delle istituzioni.
Facendo ad esso riferimento, a Raimo viene contestata in particolare una critica espressa alla volta del ministro: “da un punto di vista politico Valditara va colpito come si colpisce la Morte Nera di Star Wars. Nella sua ideologia ci sta tutto il peggio: la cialtroneria, la recrudescenza dell’umiliazione, abilismo, classismo, sessismo. Tutto quello che dice è arrogante, cialtrone, lurido”. Una critica che per l’Ufficio scolastico regionale è un’offesa, come dichiarato dalla direttrice generale Anna Paola Sabatini. Non entro nella analisi filologica del contenuto delle dichiarazioni: basti dire che le esternazioni delle autorità parlano del fatto che Raimo avrebbe dato del “cialtrone lurido” al ministro. Possa o no piacere il tono, non è così. Apostrofare l’ideologia con parole forti è altra cosa dal calunniare la persona. Preoccupa questo ipotetico equivoco. La querela del ministro – sentitosi offeso personalmente, benché impropriamente – avrebbe reso meno problematica la vicenda, che invece poggia sull’esercizio improprio di prerogative destinate ad altri tipi di accadimenti. E che, proprio per questo, ci deve allarmare.
Viviamo in un Paese in cui il neo ministro della Cultura, Alessandro Giuli, ha confermato poche settimane fa la sua antica militanza in Meridiano Zero, formazione neonazista; in cui Paola Frassinetti, sottosegretaria all’Istruzione, ha recentemente celebrato la Marcia su Roma; in cui il ministro, Giuseppe Valditara, come deterrenza al bullismo suggerì, nel 2022: “Quel ragazzo deve fare i lavori socialmente utili, perché soltanto lavorando per la collettività, per la comunità scolastica, umiliandosi anche, evviva l’umiliazione che è un fattore fondamentale nella crescita e nella costruzione della personalità (…)”. E ci sarebbe un notevole numero di esempi ulteriori, ma mi fermo qui.
La prima domanda è: cosa è più offensivo e soprattutto pericoloso? Un libero cittadino, che è anche un docente, che esprime la sua opinione; o vertici dell’amministrazione dello Stato che si pronunciano apertamente contro il dettato costituzionale? Ciascuno/a si darà la risposta che preferisce.
Il caso Raimo è uno dei tanti che in questo tempo interpellano il modo che un Paese e le sue istituzioni hanno di intendere la democrazia. In questo senso il caso Raimo ci riguarda. Ma c’è una seconda domanda, forse ancora più importante: qual è il limite tra la critica legittima e la lesione dell’immagine dell’istituzione; ovvero, quando iniziano censura, criminalizzazione del dissenso, intimidazione? E, soprattutto, dove finisce il/la docente e dove inizia il libero cittadino? Cosa ci può salvare dalla difficoltà di rispondere a questi interrogativi? Certamente non il silenzio, né l’acquiescenza, ma una risposta coesa, necessaria, coerente, intransigente.
Questa vicenda rappresenta un monito. Perché è già terribilmente grave porre in dubbio la libertà di espressione. Ancor peggio sarebbe comprimere anche la libertà di insegnamento (più di quanto non sia già stato fatto nei 25 anni di neoliberismo che abbiamo sulle spalle), che madri e padri costituenti hanno non a caso scolpito nel c. 1 del primo dei 2 articoli (il 33 e il 34) che disegnano l’architettura della scuola della Costituzione.
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