ru24.pro
World News
Ноябрь
2024

Pasionaria delle Acli e pioniera delle coop. Il ritratto di Rina Biz, «pesce rosso in acqua santa»

0

«Ci chiamavano pesci rossi in acqua santa, mia madre ne soffrì molto». Nelle campagne della Sinistra Piave, dove Chiesa e Democrazia cristiana erano la stessa cosa, ogni sussulto aveva il sapore dell’eresia.

Così la scelta di aprire i patronati delle Acli, di parteggiare per i lavoratori, di battersi per il miglioramento delle condizioni di lavoro - un equo salario, la sicurezza in fabbrica, un ambiente salubre - erano viste come un pericoloso sintomo rivoluzionario. Farlo da cattolica, dunque democristiana, addirittura una bestemmia. Pesci rossi in acqua santa, appunto: così venivano definiti i primi aclisti delle campagne venete.

[[ge:gnn:tribunatreviso:14791327]]

Il tempo di Rina Biz - scomparsa venerdì mattina, 8 novembre, all’età di novant’anni - era questo: il dopoguerra della mezzadria e delle filande, il Veneto appena uscito dalla pellagra ma che faceva ancora fatica a mettere insieme il pranzo con la cena, il Veneto prima dell’economia diffusa.

L’impegno per le Acli

Trevigiana di Orsago, comunità a cavallo tra Friuli e Veneto alla quale era legatissima (e dove lunedì, alle 14,30, si svolgeranno i funerali), primogenita di una famiglia di mezzadri, Rina Biz è stata tra le pioniere dell’economia sociale, del movimento aclista e della cooperazione veneta.

[[ge:gnn:tribunatreviso:14791672]]

A lungo presidente delle Acli trevigiane e poi delle Acli venete, poi anche dirigente nazionale, più tardi fondatrice di una delle prime cooperative sociali Rina Biz può dire di aver speso bene il suo tempo per l’emancipazione femminile, l’ingresso delle donne nel lavoro, l’organizzazione della sanità, i diritti dei lavoratori e le fragilità del nostro tempo.

I suoi punti di riferimento erano Giuseppe Toniolo, l’economista che inventò la Settimana sociale dei cattolici, Jacques Maritain e il suo Umanesimo integrale ed Emmanuel Mounier del personalismo comunitario.«Ho cercato di fare bene del bene» ripeteva nella sua biografia, pubblicata nel 2020, confidando che avrebbe voluto diventare maestra, ma all’epoca in famiglia non c’erano soldi per farla studiare.

I primi passi

A 14 anni dunque lavora in filanda, poi in una maglieria, infine conosce un sacerdote, don Ilario Pellizzato, veneziano di Scorzè, che la coinvolge nella organizzazione dei patronati Acli della Sinistra Piave.

Frequenta don Albino Luciani, all’epoca vescovo a Vittorio Veneto e futuro Papa, che la aiuterà nel suo percorso. Si batte per rimuovere le ingiustizie sociali, andrà a Roma dal ministro dell’Agricoltura implorandolo di abolire la mezzadria: «Era una forma di schiavitù» diceva, avendola conosciuta sulla propria pelle.

Al convegno di Vallombrosa, già dirigente nazionale delle Acli, abbraccia la svolta socialista di Livio Labor e del suo Movimento politico dei lavoratori: «Fu un errore» ammise più tardi, abbandonando l’eresia ma non l’impegno a «intercettare i bisogni» nella società, possibilmente in anticipo.

"Insieme si Può”

Decide dunque di dare vita - nel 1983 - a una delle prime cooperative sociali del Veneto, «Insieme si può»: offre agli enti locali i suoi servizi nell’assistenza domiciliare, attiva i primi progetti di accoglienza abitativa per stranieri, organizza il primo Centro prenotazioni dell’azienda sanitaria trevigiana, costruisce centri di ascolto e case di riposo. Oggi la sua coop realizza ricavi per 37 milioni di euro e occupa oltre mille lavoratori.

Grande pragmatismo, un carattere spigoloso e una tenacia non comune, sempre molto informata, fino all’ultimo al telefono amava commentare i grandi avvenimenti del mondo e capirne le conseguenze.

Era ossessionata dalla formazione delle classi dirigenti: «Bisogna tornare ad aprire le scuola di politica, soprattutto oggi che i partiti non esistono più». Espressioni che si univano alla speranza nel futuro.

L’ultima intervista

Nella sua ultima intervista, un anno fa, disse: «Oggi c’è un grandissimo bisogno di idee, di dialogo, di formazione: non bisogna appiattirsi, bisogna essere curiosi e aperti ai cambiamenti, anche quelli introdotti dalla tecnologia. Ma è necessario che il lavoro sia riconosciuto. Perché il lavoro conferisce dignità, è un pilastro sociale. Fa di un uomo e di una donna parte della comunità. E la comunità funziona se tutti rispettiamo questi concetti. Ai giovani dico: non abbiate paura del futuro, affrontatelo con determinazione, giorno dopo giorno. Ma usate la vostra intelligenza per cambiarlo, se non vi piace».