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Ноябрь
2024

I bellunesi si curano poco: la prevenzione fatica a sfondare. «E fumano troppo»

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Come stanno i bellunesi? «Se qualcuno risponde: bene grazie, lo mandiamo di corsa sull’Agner», ha esordito così Manuel Zorzi, direttore del Servizio epidemiologico della Regione nel presentare la sua relazione al convegno “Salute oltre la città” che si è svolto ieri ad Agordo.

Quindi i bellunesi non stanno benissimo, per meglio dire vanno bene in alcuni settori, male in altri. Intanto siamo pochi, sotto i 200.000 abitanti, con una natalità più bassa rispetto al resto del Veneto, in progressiva riduzione, ma non perché – ha spiegato Zorzi – le donne bellunesi facciano meno figli di quelle venete, anzi ne fanno di più. Il problema è che ci sono poche donne in età fertile: mancano intere fette di popolazione. In un altro intervento del convegno, il coordinatore del progetto “Salute oltre la città” Pietro Paolo Faronato ha detto: «Perché non si trovano più operatori sociosanitari (Oss)? Semplicemente non sono nati venti o trent’anni fa».

Il calo demografico

Mille nascite all’anno in tutta la provincia, un indice di vecchiaia altissimo (è il rapporto percentuale tra la popolazione di 65 anni e più e la popolazione di età 0-14 anni): ben 255 rispetto al 195 del Veneto e pochi stranieri, il 6.5 per cento della popolazione contro il 10.4 per cento nella regione

. Quale è il problema che ha gravi effetti sulla salute dei bellunesi? Gli stili di vita. Cominciamo dal fumo: un quarto dei maschi bellunesi dichiara di essere fumatore, e c’è poi il 22 per cento delle donne. Ci sono più fumatrici nel Bellunese che nel resto del Veneto (17.6%). Nella media regionale i fumatori sono in calo, a Belluno no. Dopo il Covid il consumo di sigarette ha ripreso a salire. La conseguenza si vede dal dato sui tumori, il tumore maligno polmonare è una patologia che nelle donne è in crescita.

Gli eccessi

Preoccupante anche il consumo di alcol, superiore al resto del Veneto, dove pure è parecchio sostenuto. La classica “balla” del sabato sera o il consumo lontano dai pasti a Belluno è molto frequente, lo dicono i dati: interessa il 42.4 per cento degli uomini e il 28 per cento delle donne, molto più che nel resto della regione.

La correlazione con i tumori è immediata: quello al fegato per gli uomini è uno dei più frequenti. Non va bene neppure nel campo dell’attività fisica e non per gli adulti (che invece sembrano dei grandi sportivi) ma incredibilmente nei bambini che sono meno attivi rispetto al resto del Veneto.

Saranno dati veri? Il dubbio c’è se si passa al dato sulle persone in sovrappeso, il 40 per cento degli uomini e il 30 per cento delle donne. I bellunesi sono anche restii ad andare dal medico, quando ci vanno spesso è tardi per interventi efficaci. E ci sono però degli aspetti preoccupanti, come i casi di depressione, il numero dei suicidi o delle malattie mentali.

Il male oscuro

E i cittadini ne sono ben consapevoli: alla rotatoria di ingresso ad Agordo ieri è comparso uno striscione con la scritta: “Salute mentale: – convegni + impegni”, monito e richiesta alla Ulss e al mondo sociosanitario in generale per un intervento più efficace ed importante. Il tema della salute mentale è stato affrontato ieri nella seconda parte del convegno, al pomeriggio in cui sono state illustrate alcune iniziative dei Centri di salute mentale per ampliare la loro organizzazione e migliorare l’accessibilità da parte degli utenti, compreso il ricorso a strumenti digitali per sopperire alla mancanza di specialisti e alle distanze.

Gli operatori sanitari sono consapevoli di essere pochi e da più parti ieri è emersa la necessità di coinvolgere di più di ultra 65enni nelle attività di volontariato, per creare quella rete territoriale di supporto che è sempre esistita nei nostri territori montani ma che ora con lo spopolamento comincia a mostrare la corda.

Ma poi c’è la parte pubblica, ci sono quelle che ora si chiamano reti, «che vanno migliorate», spiega Sandro Cinquetti, direttore del dipartimento di prevenzione della Ulss Dolomiti, «anche se ci vogliono anni». Le novità tecnologiche aiutano «ma non sono determinanti, al centro occorre mettere sempre la persona». Il tema della mancanza di personale sanitario? «Ci sono ancora giovani interessati a lavorare nella sanità» dice Cinquetti, «se trovano figure di riferimento, competenti scientificamente, si fanno avanti e scelgono questa strada». I buoni maestri servono sempre.