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Ноябрь
2024

Il calo delle nascite dietro la decisione del Consiglio di Stato sull’hub di Palmanova. Riccardi: «Inevitabile»

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Nel 2009 avevano visto la luce in Friuli Venezia Giulia 10.501 neonati. Lo scorso anno i parti sono stati appena 7.446: in crescita rispetto ai dati del triennio precedente, ma pur sempre un quarto in meno rispetto all’andamento del primo decennio del secolo. Il trend è discendente: le proiezioni per il 2024 parlano di 7.350 parti, a cui vanno però aggiunti i 140 legati alle donne che lavorano nella Base Usaf di Aviano. È proprio dall’analisi di questi dati, dal fatto «che gli attuali percorsi nascita sono pensati per un numero di nuovi nati superiore del 25 per cento rispetto ai valori attuali», che parte l’assessore regionale alla Salute, Riccardo Riccardi, per commentare il pronunciamento del Consiglio di Stato, che ha ritenuto inammissibile il ricorso del Comune di Palmanova contro la chiusura del Punto nascita della città stellata.

Assessore, il secondo grado della giustizia amministrativa conferma che quella decisione, presa dalla Regione nel 2019, non fu illegittima. Qual è il dato politico di questa decisione?

«È una decisione inevitabilmente scontata. Il ricorso fa parte di quegli strumenti utilizzati negli ultimi trent’anni e che non hanno consentito di fare, in sanità, quei passi in avanti necessari. Del resto, anche non decidere significa assumere una decisione: cosa c’entra una delibera del Consiglio comunale con la programmazione del sistema sanitario regionale? Ci devono essere modi e forme che consentano a chi ha la responsabilità di prendere decisioni senza interferenze che fanno soltanto il male delle persone che hanno bisogno di cure.

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Alla base delle decisioni ci sono ragioni di natura tecnica. Sono parametri che non decide la politica, ma che sono indicati da professionisti. Come i percorsi chirurgici, anche quelli materno-infantili vanno adeguati all’andamento dei bisogni: con il 25 per cento di nuovi nati in meno posso pensare di mantenere le stesse strutture? Per di più di fronte alla carenza strutturale di personale sanitario?».

I parametri ministeriali indicano in mille parti l’anno lo standard per garantire la sicurezza. Nel 2023 solo i tre principali presidi ospedalieri hanno superato l’asticella.

«È vero però che la soglia minima è fissata in 500 parti l’anno. Se non li raggiungiamo, andranno fatte delle riflessioni. L’eccezione è Tolmezzo, per la quale chiederemo ancora una deroga al ministero. I dati ci dicono, peraltro, che la chiusura del Punto nascita di San Vito al Tagliamento non ha comportato problemi di tenuta del sistema».

Concentrare i servizi consente anche di ottimizzare l’utilizzo delle risorse.

«Ma è l’ultimo dei nostri pensieri, mi creda. Le tecnologie vanno trovate, bisogna saperle utilizzare... Quel che è lampante è che ci troviamo di fronte a un sistema eccessivamente frammentato. E per superare questa situazione serve il coraggio delle scelte: il cittadino è più avanti di noi, sceglie dove farsi curare dove sa che ci sono professionisti ed equipe in grado di garantire l’eccellenza della prestazione. Dobbiamo concentrare le cose complicate: l’accesso ambulatoriale resterà dove già c’è. Dobbiamo concentrare invece il complesso».

Le distanze dal domicilio al luogo di erogazioni delle prestazioni possono rappresentare un problema.

«Questo è un tema. Dobbiamo ragionare su come consentire alle persone fragili e anziane, a chi magari non ha un figlio o un nipote, di raggiungere le strutture ospedaliere».

Il tema della concentrazione è perfettamente applicabile anche al piano di riorganizzazione della rete senologica, che prevede il “taglio” di Tolmezzo come sede operatoria.

«I livelli di assistenza che dobbiamo garantire alle donne che si trovano ad affrontare il tumore al seno deve essere di assoluta eccellenza. E per raggiungere tale eccellenza non possiamo ignorare l’aspetto numerico».