Il ruolo di Elon Musk dietro Trump: così inciderà su politiche industriali, rapporti con Ue e fronte interno
“Game, set and match“, ha twittato per celebrare l’apoteosi. Gioco, partita, incontro. Elon Musk non potrebbe essere più felice. Anche lui ha vinto le presidenziali in un inedito ticket con Donald Trump. Non un passo indietro, e neanche di lato. Ha trionfato al suo fianco. Non vivrà alla Casa Bianca, ma sarà una sorta di uomo ombra qualunque decisione venga presa nello Studio Ovale. E’ la più grande novità di queste elezioni: se fino all’altro ieri i grandi potentati economici erano rimasti dietro le quinte di ogni presidenza, ora Musk con la sua strapotenza finanziaria e mediatica sarà una presenza costante accanto al presidente. Anche senza incarichi di governo. L’impatto di “mister Tesla” sulla campagna elettorale è stato indubbio: nessuno degli alleati del tycoon ha fatto più di lui. Ha fondato America PAC, un collettore di finanziamenti esterno che per legge può raccogliere somme illimitate, e secondo i documenti depositati presso la Commissione elettorale federale ha investito almeno 119 milioni di dollari nella promozione “porta a porta” – o meglio, smartphone a smartphone – dell’amico Donald per aiutarlo a mobilitare i cosiddetti “sostenitori deboli” e convincerli a recarsi alle urne.
Non solo. Comprato Twitter, il miliardario sudafricano lo ha messo a disposizione dell’uomo che nel suo primo mandato inventò i “fatti alternativi“, facendone con i suoi oltre 203 milioni di follower personali una gigantesca cassa di risonanza per slogan politici e fake news. Analizzando i dataset pubblicati da X, i ricercatori del Center for Countering Digital Hate hanno scoperto che dal 13 luglio, giorno in cui annunciò il suo endorsement, al 25 ottobre i 746 contenuti politici postati da Musk – quelli in cui menziona termini associati al voto come “Donald Trump”, “Kamala Harris”, “voto” e “schede elettorali” – hanno totalizzato 17,1 miliardi di visualizzazioni, oltre il doppio delle visualizzazioni di tutti gli “annunci di campagne politiche” negli interi Stati Uniti nello stesso periodo. E tutto ciò senza contare i re-post. Di questi 746 post, almeno 87 sottoposti a fact-checking sono risultati falsi o fuorvianti e hanno incassato 2 miliardi di visualizzazioni.
Musk gli presenterà il conto. SpaceX, che produce per Washington satelliti, razzi, navette e moduli spaziali, beneficia di sostanziosi contributi pubblici e il sogno di Elon resta quello di atterrare su Marte. Ma sul breve periodo Elon punta a mettere in strada le sue Tesla a guida autonoma. “Dovrebbe esserci un processo di approvazione federale per questi veicoli”, ha auspicato il 23 ottobre, solo qualche settimana dopo che l’amico Donald aveva proposto di metterlo a capo di una “Commissione per l’efficienza governativa incaricata di formulare raccomandazioni per riforme drastiche del governo federale (come gli “almeno 2 trilioni di dollari di tagli” delle spese federali promessi dal magnate di X in un comizio a New York, ndr). Ed Elon ha accettato di guidarla”. Non potrà farlo a meno che non si liberi delle proprie aziende, ma potrà dirigere i lavori dall’esterno. Applicando, per esempio, ai 2 milioni di dipendenti dello stato centrale la filosofia usata con X, Space X e Tesla: generare risparmi attraverso la drastica diminuzione del personale. Del resto non è affatto detto che le ambizioni politiche di Musk siano finite la notte dell’election day. Anzi. America PAC, ha detto il miliardario in diretta su X mentre volava sul suo jet privato a Mar-a-Lago per seguire la notte elettorale con Donald, “continuerà a funzionare dopo queste elezioni e si preparerà per le elezioni di medio termine“. Il suo super PAC “cercherà di avere un peso notevole” anche nel prossimo turno di votazioni per la Camera, il Senato e persino per alcune elezioni locali.
A fianco di un presidente che nel primo mandato ha platealmente rigettato l’approccio multilaterale in favore di trattative con i singoli Stati, l’influenza di Musk si farà sentire anche nei rapporti internazionali. E una delle prime partite in cui entrerà sarà quella dei rapporti con l’Ue. A luglio Bruxelles ha accusato X di aver violato il Digital Services Act (DSA) in tema di verifica degli utenti, trasparenza pubblicitaria e accesso ai dati e potrebbe infliggere al social una multa pari al 6% del suo fatturato. Pochi giorni fa Trump ha giurato che non lascerà che l’Ue “si approfitti delle nostre aziende”, dicendo che un altro magnate dell’hi-tech, il ceo di Apple Tim Cook, lo aveva chiamato per lamentarsi di una sanzione miliardaria ricevuta dall’antitrust europeo. Difficile pensare che se ne starà con le mani in mano mentre l’Unione salassa l’amico Elon. Con cui anche ogni governo dovrà continuare a parlare direttamente: “Ha un monopolio sostanziale sui satelliti. Ti puoi permettere di non parlare con Musk?”, ha domandato oggi il ministro della Difesa Guido Crosetto in audizione in commissione Affari esteri e Difesa del Senato.
C’era una volta Steven Mnuchin, quindi. Neanche l’ex partner di Goldman Sachs e finanziatore dei progetti privati di Trump, che il tycoon aveva prima fatto prima direttore della sua campagna elettorale e poi segretario al Tesoro, aveva incarnato e gestito una capacità di influenza di queste dimensioni. Coacervo inestricabile di potere economico e mediatico che si fanno platealmente politico, Musk inaugura il nuovo modo in cui il capitalismo partecipa al governo di uno Stato. Degli Stati Uniti d’America, nella fattispecie. E anche se non sarà fisicamente alla Casa Bianca, siederà a tutti gli effetti nello Studio Ovale con Trump. Elon ha tracciato la strada e la sua sfida l’ha vinta. Gioco, partita, incontro.
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