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Ноябрь
2024

Quel confine che mortifica il sogno di Gorizia

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Proviamo a visualizzare la scena che potrebbe manifestarsi fra tre mesi. Una marea di visitatori che si muovono tra Gorizia e Nova Gorica per godere degli eventi della congiunta Capitale europea della Cultura 2025, e sciamano su e giù per la Piazza Transalpina: il luogo simbolo della pace e dell’europeismo, attraversato dal confine tra le due città che ci illudevamo scomparso.

E ogni volta che si spostano un metro più in qua o più in là sulla piazza, i visitatori esibiscono la carta d’identità per i controlli delle forze dell’ordine schierate. Perché l’accordo di Schengen è sospeso, e da più di un anno tra Italia e Slovenia non si circola più liberamente.

Stiamo ovviamente esagerando: non accadrà. All’ultimo momento un atto amministrativo ci metterà una pezza, sospenderà la sospensione ed eviterà il verificarsi di una plateale, umiliante negazione della ragion d’essere di Go! 2025: l’ostentazione di un confine sull’evento europeo nato per celebrarne il superamento. Un ossimoro storico-culturale che farebbe ridere, se non facesse piangere; la più surreale delle contraddizioni che da più di un anno, dal valico di Sant’Andrea a quello di Fernetti, viviamo quotidianamente.

Da una palese contraddizione il provvedimento è venato fin dall’origine: 18 ottobre 2023, undici giorni dopo l’attacco a Israele da parte di Hamas. È necessario presidiare nuovamente i valichi, fu spiegato allora, per fronteggiare i rischi di terrorismo dal Medio Oriente per dieci giorni: poi diventati venti, poi due mesi, poi sei, ora chissà, in spregio alle regole europee di cui nessuno osa più invocare il rispetto.

Senonché, da allora a oggi tutta la reportistica dei ministeri ha enumerato i respingimenti dei migranti e gli arresti dei delinquenti che lucrano su di loro. Non v’è notizia di terroristi presentatisi al valico di Fernetti sbandierando il passaporto fuori del finestrino con l’auto stivata di bombe. La crisi internazionale diede un ottimo pretesto per mostrare alle opinioni pubbliche che alcuni governi europei prendevano di petto l’immigrazione indiscriminata.

Ma anche sorvolando su questa foglia di fico, o prendendo per buona una eterogenesi dei fini che sarebbe piaciuta a Giambattista Vico (la mia azione ha un obiettivo, ma ne realizza uno diverso; e in fondo il traffico di migranti fu menzionato secondariamente anche allora), rimane il fatto che la chiusura dei confini è inutile è pericolosa.

I governi che l’hanno attuata sottolineano sia l’elevato numero di azioni illecite sventate alle frontiere, sia la drastica riduzione degli ingressi illegali dai Balcani riscontrata quest’anno. Ma i numeri sulle operazioni di contrasto sono connotati da una generalizzata opacità, poiché quasi sempre mettono assieme tutte le attività sulla fascia confinaria: quante di esse sono avvenute durante i controlli alla frontiera ora ripristinati, e quante durante i pattugliamenti sul Carso che c’erano e continueranno a esserci? È questa seconda componente a funzionare bene: la collaborazione tra le forze di polizia italo-slovene, giustamente rafforzata nel vertice di Brdo pochi giorni fa.

Quanto alla riduzione degli ingressi illegali, è sufficiente uno sguardo al più ampio scenario mediterraneo per comprendere che è l’intera rotta balcanica a essersi ridimensionata (del 75% da gennaio a luglio), come accade pur tra alti e bassi dall’annus horribilis 2015: partono meno migranti perché gli accordi presi dai governi (anche quello italiano) cominciano a funzionare; perché la Turchia (che ha sempre spregiudicatamente aperto e chiuso le porte per far pressione sull’Europa secondo convenienza) ha dato un giro di vite; perché si muovono meno pakistani e afgani; perché chi si muove si disperde tra più Stati e confini.

O davvero crediamo che i flussi globali si siano modificati perché su qualche valico – non molti – abbiamo messo quattro agenti di polizia, che fortunatamente interpretano i controlli con lodevole buonsenso evitando di creare disagi ai cittadini?

E se anche così fosse, lo si sarebbe ottenuto (e lo si potrà ottenere) istituendo controlli selettivi tali e quali, spostati cento metri più indietro rispetto alla frontiera, senza imporre una deroga roboante quanto superflua a una conquista europea di libertà. Stiamo prolungando nel tempo un mero provvedimento di facciata.

Ma è anche un provvedimento pericoloso: più a lungo dura, più pregiudica lo spirito comunitario. Italia, Slovenia e Croazia sono infatti in ottima compagnia. Anche la Germania ha da poco riattivato i controlli ai confini, e non certo perché tema un’invasione di francesi e danesi. Lo fa come tutti (come noi) perché non si fida dei controlli attuati dai Paesi alle frontiere esterne dell’Europa (compresi noi) ed è scioccata dall’avanzare delle forze politiche in odore di neonazismo.

Ed è facile prevedere che quel che fa Berlino diventi prassi consolidata, a maggior ragione se una vittoria di Trump rinfocolerà i sentimenti nazionalisti in Occidente. Più dura la sospensione di Schengen, più ad essa ci assuefaremo, più si fiaccheranno i principi comunitari e la fiducia tra partner a cui si ispirano, più qualcuno protesterà quando (e se) la sospensione finirà. Certo che la scenetta dei poliziotti a presidiare il confine sulla Transalpina è surreale. Ma ci siamo meno lontani di quanto crediamo.