Finanziamenti truffa, chiusa l’inchiesta a Padova: avvocato rischia il processo
Marcia a passo sostenuto versoi il processo l’inchiesta su un’associazione per delinquere transnazionale specializzata in truffe di carattere finanziario, in riciclaggio e autoriciclaggio che ha spedito dietro le sbarre – tra gli altri - l’avvocato Claudio Michelon, 71enne già titolare di un avviato studio legale civilistico in piazzale Stazione attualmente rinchiuso nella casa di reclusione Due Palazzi.
Il pubblico ministero Roberto D’Angelo ha chiuso formalmente l’indagine, passo indispensabile per arrivare alla richiesta di rinvio a giudizio salvo che gli indagati non chiedano di essere interrogati o presentino memorie destinate a dare una svolta agli accertamenti della Guardia di finanza.
Gli indagati
Oltre a Michelon, sono in carcere Roberto Massimo Di Bisceglie di Abano Terme ma residente in Estonia, considerato con il legale la mente organizzativa, e Rosario Tulino di Benevento; gli altri otto indagati (ora in stato di libertà dopo essere stati destinatari di misure più lievi) sono l’avvocato foggiano Giorgio Maria Salvatori; Francis Onabire, un nigeriano residente a Bergamo che avrebbe selezionato gli imprenditori-vittime; il faccendiere lombardo Marco Russo, incaricato di predisporre la documentazione per le pratiche dei prestiti; Elisabetta Pagnin, moglie di Bisceglie addetta al riciclaggio dei soldi proventi dalle supposte truffe; Sara Marcato (figlia della Pagnin); i prestanome Giuseppe Grippaldi di Catania e il veneziano Edoardo Bottoni di Mirano; infine la moglie dell’avvocato Michelon, Caterina Ortolani.
Come funzionava
Secondo la ricostruzione emersa, il gruppo operava attraverso una serie di società estere, sedicenti finanziarie che cambiavano nome negli anni (come Credit London) utili a creare un’immagine autorevole e ad attirare la clientela composta da imprenditori per lo più stranieri a caccia di finanziamenti per investimenti di peso e, per vari motivi, privi della possibilità di accedere al sistema creditizio nazionale.
Da qui la necessità di rivolgersi altrove per trovare soldi. Dopo aver individuato il cliente interessato, il percorso prevedeva il deposito fiduciario nello studio legale Michelon di un brevetto (il progetto da finanziare); a quel punto interveniva Di Bisceglie nella veste di rappresentante delle società straniere e Bottoni per conto di una sedicente banca d’oltralpe.
La vittima era tenuta a versare subito il 2 per cento del prestito, dietro la garanzia della restituzione integrale di quell’anticipo spese. Peccato che dopo quel saldo, non sarebbe mai arrivato alcun prestito.
E, di conseguenza, nemmeno la restituzione della somma spesa. Somma che aveva già imboccato la strada dei Paesi Baltici e della Gran Bretagna, di fatto paradisi fiscale dove il recupero del danaro è pressoché impossibile.
E i finanziamenti promessi? Tra i 100 e 200 milioni di euro il giro d’affari sulla carta. In realtà l’unica liquidità che passava per le mani della banda era la caparra pagata dai clienti. Il 23 agosto scorso, quando erano scattate tutte le misure, il gip su richiesta della procura aveva sequestrato beni per tre milioni e mezzo di euro.